Un volume di grande peso (1600 e passa pagine di scarsa maneggiabilità purtroppo) per l’opera omnia dei racconti di Howard Phillips Lovecraft. Oltre ai lavori più celebri, sono qui raccolti i racconti giovanili e quelli scritti con altri autori, verificati sui manoscritti originali o sulle prime edizioni.
H.P. Lovecraft, “HPL” per i suoi molti appassionati, tra i quali la sottoscritta, fu autore di potenza straordinaria, onirico, sognatore, maestro per molti a venire, da Borges a King, a chiunque si cimenti con il genere, amatissimo dal pubblico italiano da quando Carlo Fruttero ne fu primo antologista. Questa raccolta è curata da Giuseppe Lippi, uno dei più grandi conoscitori di fantascienza e letteratura horror in Italia, curatore di Urania.
L’opera riprende i quattro volumi pubblicati da Mondadori fra il 1989 e il 1992 e li unisce insieme, distinguendoli in tre sezioni tematiche ciascuna preceduta da una corposa introduzione. Nuovi anche gli apparati critici, tra i quali ricordiamo Un’Avvertenza che elenca le fonti dell’opera; l’Introduzione che delinea l’universo di Lovecraft; Una biografia in sintesi, che rievoca tutte le opere di HPL; Paure di ieri e di oggi – Lovecraft e il revival dell’orrore che integra quanto scritto nella precedente raccolta; e le Note finali, suddivise in due parti, che (eccetto gli scritti giovanili) commentano ogni racconto.
La poetica di Lovecraft si compone di temi ricorrenti, adorati dai suoi ammiratori. Si parla di culti risalenti a un’epoca remotissima in cui sulla Terra regnavano divinità malvagie di provenienza aliena, cui faceva capo Azathoth, “il dio cieco che gorgoglia e bestemmia al centro dell’Universo”. Dal loro passato terrificante, le entità minacciose sono pronte a riprendere possesso della loro antica dimora.
Lovecraft, a buon diritto ascritto al filone dell’orrore soprannaturale, racconta un’umanità disperata, per la quale non esiste futuro – solo un lento e doloroso transito verso la fine – e nessun Dio cui chiedere aiuto. Anzi. Proprio dalla divinità arriva la minaccia. Niente aiuta e niente salva, nemmeno la scienza, che è stata la prima a descrivere un universo indifferente alla sorte delle creature che lo popolano.
Hanno gioco facile le orribili creature tentacolate e gelatinose, orribili alla vista, che si preparano a sferrare attacchi mortali, nascoste nel buio delle grotte, annidate tra montagne inaccessibili o sul fondo degli oceani. Non c’è in loro intelligenza, né particolare determinazione. Solo un istinto antico e invincibile. Sono divinità solo in quanto generatrici degli altri esseri viventi, per una ragione meramente meccanicistica, non per una volontà, o superiorità intellettuale, tanto meno per un atto di bontà.
I racconti sono incubi, scritti con uno stile generoso e carico di emozione, naturale conseguenza di un intelletto raffinato, pessimista e a tratti cinico, dei progressi scientifici del tempo, quando le nuove scoperte rivelavano una realtà molto meno poetica di quanto si era immaginato fino ad allora. L’universo come luogo poco ospitale, gelido, dove regnano leggi severe.
Oltre, una notte senza fine, popolata da creature senza sentimento, mosse dalla necessità di sopravvivere a nuovi eoni, e su cui l’uomo non può prevalere.
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Howard Phillips Lovecraft (Providence, Rhode Island, 1890-1937), inizia prestissimo a collaborare con riviste quali The Vagrant, e i quotidiani di Providence. Nel visse 1924 si trasferisce a New York e nel 1926 torna nella città natale, dove riprende a scrivere racconti soprannaturali che pubblica su riviste come Weird Tales. Tra i racconti più conosciuti ricordiamo Il richiamo di Cthulhu (1926), L’orrore di Dunwich (1928) e Le montagne della follia (1931).
Eleonora Carta
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