Brokenlight di Tiziana Marie Galofaro

Prologo

In un tempo lontano, quando il mondo era governato dalla magia, i Brokenlight, ovvero i cacciatori della luce di fata, detenevano il potere e dominavano tutti gli esseri fatati. Attingevano la loro forza dalla luce delle fate e la usavano per sottomettere gli altri popoli. Araldica era una piccola cittadina alle pendici del monte Levi del regno di Fantasia. Ad Araldica vivevano tutte le creature magiche dell’intero regno. A Clowen, invece, c’erano i Brokenlight, esseri umani privi di magia che dovevano necessariamente sottrarre la luce di fata per poter essere invincibili. Per poter governare e assoggettare tutte le creature magiche. Il loro re, Eres, potente signore degli esseri umani, aveva un figlio maschio, Miros, giovane di bell’aspetto e audace come suo padre. Ma Eres voleva anche che il suo unico figlio si sposasse presto per succedergli al trono. Miros spesso rideva di tale situazione ma la verità era che quel tempo stava ormai trascorrendo troppo in fretta e a questo punto, tutti gli abitanti di Clowen, si aspettavano un nuovo sovrano a guidarli nella loro spietata battaglia contro le creature incantate.

I cacciatori di fate

«Non puoi sottrarti al tuo destino!» mi rimproverò mio padre dal fondo del salone dei ricevimenti.

La nostra abitazione era un sontuoso e lussuoso freddo palazzo al centro della città di Clowen. Noi Brokenlight vivevamo a Clowen dai tempi remoti. Nessuno sapeva come si era formato il nostro regno e soprattutto nessuno sapeva come era nata la guerra tra umani e creature magiche. Una cosa era certa: eravamo in conflitto da sempre.

«Quale destino? Tu hai scelto per me! Il destino non dovrebbe essere condizionato da decisioni altrui» reagii afferrando l’elsa della mia spada e con un fischio chiamai il mio fidato destriero: un Hauchuk.

Gli Hauchuk erano creature magiche sottomesse a noi da secoli, avevano il corpo da cavallo e la testa da leone. Erano facili da domare e ci temevano, come tutti gli altri esseri viventi a Fantasia.

Galoppai fino ai confini della nostra città, fino a non sentirmi più legato a una famiglia che aveva deciso per me.

Dorothea era una fanciulla meravigliosa. Il suo sorriso faceva impazzire moltissimi ragazzi della mia età. I suoi capelli dorati adornavano con grazia un volto perfetto, quasi fosse di seta. Gli occhi erano lucenti e colmi di amore, un amore che lei aveva giurato di donarmi per tutti gli anni a seguire. Un amore che lei voleva regalarmi e sperava che anche io ricambiassi.

L’Hauchuk rallentò la sua celere corsa e così scesi a rinfrescarmi un po’ nelle limpide acque del fiume Fesero. Nel regno di Fantasia c’era un solo fiume che bagnava tutte le città. Da lui si diramavano gli altri affluenti, ma erano comunque sempre originati dalla fonte magica situata in cima al monte Levi.

«C’è qualcuno?» chiesi quando sentii uno strano suono provenire da dietro un cespuglio. Sguainai la spada e attesi una risposta. Ma nulla.

«Se non vuoi essere trafitto, fatti avanti!» continuai a gridare.

«Figlio di Eres, pietà! Sono solo una povera mendicante» squittì una voce tetra da dietro la siepe.

«Chi sei?» domandai. «Dimmi il tuo nome» aggiunsi.

«Sono Rosette, una povera mendicante in cerca di un pezzo di pane.»

«Non ho pane con me ma ho dell’acqua e della frutta» risposi, offrendole il cibo che avevo messo nella mia sacca.

«Sei molto generoso» disse sempre con una strana voce.

Afferrò la borraccia dell’acqua e bevve avidamente. Prese la mela e la divorò con soli due bocconi.

«Da dove vieni?» chiesi incrociando le braccia e arcuando un po’ le sopracciglia.

«Da molto lontano, oltre il monte Levi, oltre la città di Araldica.»

«Hai incontrato le fate?» domandai incuriosito. Non avevo mai visto una fata, ma sapevo che prima o dopo avrei dovuto ucciderne una, rubargli la luce e acquisire potere, autorità… magia…

Sapevo che le fate erano di aspetto bellissimo, avevano i capelli di colori variopinti, occhi gialli come i raggi del sole e splendide ali che trasmettevano una luce abbagliante, quella luce che noi Brokenlight imprigionavamo. Era anche risaputo che ogni qualvolta uno di noi gli sottraeva la luce, la fata moriva. Era triste da raccontare in questo modo, ma era la realtà, un dato di fatto.

«Oh, sì! Ho incontrato le fate più belle di Araldica, ho parlato con loro e vissuto tra di loro, ma non essendo bella, quel posto non era adatto a me. Sono partita in cerca di un luogo idoneo a una come me ma, come puoi ben vedere» disse facendo segno di ammirare le rughe che scolpivano il suo volto, «io sono la raffigurazione del tempo che sfugge, degli anni che incombono e della bellezza che non mi è stata mai concessa.»

«La bellezza non è tutto» risposi pensando a Dorothea. Pensai a quanto fosse bella, ma nonostante ciò,  non l’amavo.

«Parole dette tanto per dire. Tu, figlio di Eres, tu, giovane dal volto meraviglioso, come puoi affermare una cosa del genere? Non farti beffa di una povera mendicante» mi rimproverò.

«Domani mi sposo. Prenderò in moglie una fanciulla meravigliosa. Lei irraggia come un astro cadente dal cielo, ma io per lei non provo nessun sentimento. Preferirei rinunciare a tutto, fuggire via ed essere nessuno, anche un mendicante come te.»

«Non proferire parole che potrebbero trasformarsi in realtà.» La mendicante si inchinò al mio cospetto e lasciò cadere la borraccia per terra, e con passo lento si allontanò.

Mi sentivo strano, ancora più demoralizzato ma dovevo ritornare al palazzo e adempiere al mio dovere. Sollevai la borraccia e bevvi l’ultimo sorso d’acqua che la vecchia aveva dimenticato di ingurgitare.

Una forte fitta al cuore me lo fece quasi esplodere. Socchiusi gli occhi e caddi a terra con il volto immerso tra le foglie verdeggianti del prato ancora ingioiellato dalla rugiada della mattina.

Non sentii più nulla. Una pesantezza agli occhi me li fece socchiudere e, anche se avrei tanto voluto reagire, mi addormentai.

Lorelyne

Il soffio del vento…

Il profumo dei fiori…

Il tocco di un veto negato…

«Chi sei?» sussurrai abbagliato da una meravigliosa luce.

«Shh!» mi rispose accarezzandomi la guancia.

«Sei una fata!» realizzai non appena notai la sua splendida luce provenire dalle sue ali.

«Sì, mi chiamo Lorelyne» rispose fissandomi con stupore.

«Lorelyne…» ripetei apprezzando il suono del suo meraviglioso nome.

«Sei stato avvelenato e ti hanno rubato il tuo destriero.»

«Che cosa?» sbottai contro quella vecchia mendicante che si era fatta beffa di me.

«Bevi questa pozione, annullerà gli effetti del veleno» mi disse usando la sua armoniosa voce.

All’inizio rifiutai, ma quando capii che stavo per essere ucciso da quel veleno che la vecchia mi aveva fatto bere con l’inganno, acconsentii alla sua proposta. Bevvi l’infuso magico e dopo alcuni minuti mi sentii meglio.

«Da quanto tempo sono svenuto?» la interpellai mettendomi a sedere sopra un tronco di una vecchia quercia.

«Da qualche ora» e si sedette accanto a me.

«Non hai paura di me?» le domandai.

«E perché?» chiese fissandomi ingenuamente.

«Sono un Brokenlight, un cacciatore di fate» confessai.

«Mi ucciderai?» domandò sorridendomi.

«No! Non potrei mai farlo» ammisi ricambiando il suo sorrido.

«Qual è il tuo nome, Brokenlight?»

«Mi chiamo Miros e sono il figlio di Eres, sovrano di Clowen» dichiarai perdendomi dentro ai suoi meravigliosi occhi ambrati.

«Piacere Miros» pronunciò stringendo la mia mano.

Il sole lasciava cadere i suoi splendidi raggi tra le fronde degli alberi, la natura sembrava sorridere e rifulgere del magico splendore delle ali di Lorelyne. Tutto era così fatato, tutto era contornato dalla sua splendida luce.

Gli uccelli cinguettavano canti melodiosi e il vento soffiava un effluvio delicato che lambiva i petali dei fiori intorno a noi.

Anche le acque del fiume gorgogliavano un tintinnio fantastico che fungeva da sottofondo al nostro interminabile osservarci e ammirarci come se fosse l’ultima volta che l’amore, quel sentimento strano e impetuoso, ci sfiorasse.

Come se fosse…

… come se fosse l’ultima volta che potei realmente sentire il battito del mio cuore.

Un fragoroso frastuono catturò la mia attenzione e una rete imprigionò Lorelyne.

Urlai il suo nome, ma le guardie di mio padre mi bloccarono.

«Complimenti figliuolo!» tuonò mio padre con un sorriso beffardo.

«Lasciala!» protestai divincolandomi dalla stretta delle sue guardie.

«Capisco che la prima volta ti potrà sembrare una crudeltà, ma la tua vita, la tua esistenza come sovrano di Clowen, dipende dalla sua luce» sermoneggiò sfidandomi.

«Mai!» sbraitai con tutto il fiato. «Lorelyne, perdonami.»

«Liberatela!» ordinò mio padre. Le sue guardie lasciarono scivolare la rete per terra e Lorelyne rimase immobile a osservarmi.

«Fuggi!» le ordinai.

Ma la fata rimase glaciale.

Impassibile alle mie raccomandazioni.

Lorelyne spalancò le ali e lasciò che una meravigliosa luce si diramasse per tutto il bosco. Sorrise e poi ripiegò le ali. La luce svanì e nelle sue mani si depositò una debole fiamma, un incantato bagliore.

Era la sua luce che mi donava per salvarmi.

Rifiutai.

La supplicai di ragionare, ma lei mi sorrise e mi disse che mi sarebbe stata sempre accanto.

Mi sentii il volto bagnato e la disperazione si impadronì di me.

«Lorelyne… no. Ti prego, non farlo» la supplicai, ma mio padre prese l’ampolla di cristallo dove tutti i Brokenlight depositavano la luce delle fate, e la imprigionò per sempre.

Lorelyne divenne polvere e di lei non mi rimase più nulla, tranne il ricordo del suo sorriso, del suo splendido profumo e del suo sconfinato amore verso un cacciatore che avrebbe preferito diventare polvere insieme a lei.

Ritornammo al castello e gelosamente stringevo la piccola ampolla di cristallo dove c’era la luce di Lorelyne. Quella fata, quella creatura magica appena incontrata, mi fece un dono meraviglioso. Un gesto che in diciotto anni non vidi mai in mio padre o in mia madre.

Sposai Dorothea e tutte le notti desideravo, anche solo per un breve attimo, poter stringere tra le mie braccia Lorelyne.

Per tutto il regno di Fantasia si vociferava del re triste e della sua ampolla magica che lo rendeva invincibile. Era vero. La luce di Lorelyne mi diede una forza smisurata, ma mi donò anche una tristezza insormontabile.

Una sera, quando le stelle sembravano esplodere nel cielo terso di mezzanotte, mi affacciai alla finestra e lasciai la luce di Lorelyne divulgarsi liberamente. Non sapevo a cosa stavo andando in contro, ma una strana forza mi catturò e mi sentii frantumare in innumerevoli piccoli bagliori. Era la prima volta, dopo tanto tempo, che potei ascoltare nuovamente il mio cuore.

Epilogo

Miros diventò vento e si narra che, quando la luna splende alta nel cielo e le stelle brillano ardentemente, i due innamorati fluttuano in un incantevole ballo; sono le correnti che si incontrano, sono due cuori che battono ritmicamente nell’oscurità della notte, sono Lorelyne e il suo amato principe.

 

Tiziana Marie Galofaro per Upside Down Magazine

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