L’alba di Alwayr di Mariangela Cerrino è un romanzo che si lascia leggere piuttosto bene.
Le pagine scivolano via veloci evocando strane terre e strane vicende. Alcune atmosfere del libro ricordano un po’ Star Wars è un po’ Asimov, per certi passaggi introspettivi.
Ma veniamo alla storia: Bain è un uomo piuttosto solitario che vive in un torre, che è una via di mezzo tra un vecchio dato sul mare è una cabina automatizzata. L’uomo, da sempre, viene da tutti soprannominato “Lo straniero”.
Tutto si apre proprio con il suo rapimento, egli viene catturato per essere venduto.
A chi, non è dato saperlo, quello che è certo, però, è che qualcuno ha mobilitato molte risorse, e persone, pur di mettere le mani su Bain.
E il viaggio del prigioniero è un pretesto per introdurre vari scenari e situazioni.
Un certo senso di precarietà attraversa tutto il romanzo, l’idea di una società basata sull’uso delle macchine, mentre un’altra ne ha ricusato totalmente il potere.
È la sempre attuale contrapposizione dell’intelligenza artificiale all’inventiva umana.
Sembra però che in questa storia non ci sia un vincitore preciso, tutto si mantiene molto fluido, almeno fino alle battute finali, dove viene rivelato a Bain, e agli amici che ha incontrato lungo il suo tortuoso percorso, alla ricerca di risposte, il motivo per cui la sua vita è tanto importante.
Bain, e tutta la sua esistenza, rappresentano la volontà di cambiamento e di rinascita di un sistema apparentemente perfetto, ma che in realtà è già in declino.
Ho apprezzato molti passaggi del libro, soprattutto quelli dedicati al rapporto uomo-macchina, gli Head, le macchine, coi loro Tail, gli umani modificati. Quello che mi ha lasciato l’amaro in bocca è stato il finale, a mio parere un po’ troppo affettato, però solo a libro ultimato ho scoperto che L’alba di Alwayr altro non è che il seguito ideale di L’ultima terra oscura, pubblicato nel lontano 1990, e narra gli esordi della società come la leggiamo in Alwayr.
Probabilmente per chi ha letto entrambi i romanzi, alcuni riferimenti del sequel appaiono sicuramente più chiari, ma per che ho letto L’alba di Alwayr alcuni passaggi, per quanto curati dal punto di vista dello stile e della trama, mi sono rimasti oscuri e un po’ confusionari.
Ad ogni modo, nonostante io non sia un’appassionata di letteratura fantascientifica, ho apprezzato molto le vicende narrate, per il modo semplice, ma anche profondo, quasi in chiave filosofica, con cui vengono descritte, e mi sono interrogata più volte sulla sorte di alcuni personaggi citati, tanto da voler leggere sicuramente anche il romanzo che fa da prequel a questa storia.
“ARTES. Io non so quando mi è stato dato questo nome, né da chi lo ho avuto. Non è nemmeno un nome. È soltanto una parola mai esistita prima di me, e che non potrebbe esistere senza di me. Il significato non ha importanza, come non ne hanno le cose degli umani, e tuttavia IO VIVO delle cose umane da così tanto tempo che forse sono già umano senza saperlo. Ho paura di questo. Un umano è parte di me, e senza di lui IO non esisterei. È un piccolo uomo con grandi idee, e un temperamento da genio nello spirito di un martire: io detesto i geni, e non capisco i martiri. Così mi disprezzo, quando mi guardo in questo umano che è il mio Doma, e che non può vivere senza di me come io non posso vivere senza di lui. Chi ci ha fatto questo?”
(Da L’alba di Alwayr, pag. 17)
Samanta Crespi
© Riproduzione Riservata