Questa storia partecipa alla “Red Challenge” indetta dal gruppo Facebook il giardino di Efp.
Prompt: “Sei qui per uccidermi?”, “Forse.”
Fandom: Fantaghirò
Rating: Rosso
Coppia: Fantaghirò/Tarabas
Note: What if? Post Fantaghirò 3
Buona lettura!
“Sei qui per uccidermi?”
Questo le chiese Tarabas quando l’ebbe immobilizzata con delle corde alla parete di roccia scura, ma non umida.
“Forse” Gli rispose lei, con un sorriso e uno sguardo per nulla intimorito.
Avrebbe dovuto temerlo Fantaghirò e forse un tempo lo aveva anche fatto, così come lo aveva sfidato per amore, quello stesso amore da cui lei ora stava fuggendo.
La principessa stava scappando dalla luminosità degli occhi azzurri di Romualdo per rifugiarsi nell’oscurità dalle tinte smeraldo dello sguardo di Tarabas, il mago, lo stregone, colui che un tempo era conosciuto come “colui il cui nome non deve essere mai pronunciato”.
“Quante volte tenterai di uccidermi mia dolce principessa Fantaghirò?” Gli domandò lui sfiorandole una guancia lievemente arrossata.
“Tutte le volte che tu lo meriterai, Tarabas…” La voce di Fantaghirò era appena un sussurro accennato, un dolce invito a continuare quella sfida in un modo un po’ più soddisfacente e un po’ più piacevolmente.
“Sai che anche solo lo sfiorarti per me è un po’ come morire, vero?” Ammise lui, mentre la sua mano scendeva seguendo la linea del collo e della clavicola leggermente esposta della fanciulla.
Fantaghirò si mosse, cercando invano di liberare i polsi dalla morsa di quelle catene.
“Già ti arrendi mia Principessa? Ti facevo più coraggiosa e paziente…” La provocò Tarabas, soffiandole le parole sulla guancia, talmente vicino che le labbra dello stregone andarono inavvertitamente a sfiorare il lobo dell’orecchio di lei.
Fantaghirò fu scossa da un brivido e, un breve, ma sufficiente, sospiro di frustrazione lasciò le sue labbra rosee.
“Lo sono…” dichiarò decisa la ragazza, mentre lo stregone le allentava i lacci della blusa lasciando spazio tra la stoffa e la pelle calda e morbida di lei che sembrava chiedere solo di essere accarezzata, morsa, marchiata.
“Se lo sei allora perché tremi…” insistette Tarabas mentre con i polpastrelli le sfiorava la pelle dei fianchi salendo verso i seni compressi in tutte quelle inutili bende che lei usava per fingersi un uomo, un cavaliere, e tentare di nascondere così i suoi desideri più intimi, la sua vera voce: quella di una donna che anela ad essere amata, ma non ha il coraggio di lasciarsi andare.
Lei voltò il viso, tentando di nascondere il crescente imbarazzo, nonché il senso di colpa e la paura.
Paura di non essere più la stessa, paura di perdere la sua parte più forte, la sua integrità, il suo tanto decantato amore incrollabile per Romualdo.
“Dillo Fantaghirò e io lo farò, ma solo se sarai tu a volerlo…” Gli ricordò Tarabas, sottolineando implicitamente che se lei era lì, in quella caverna, con gli abiti sfatti, il fiato corto e i polsi incatenati, era perché era stata lei stessa a volerlo.
Lui non le avrebbe mai fatto del male, glielo aveva giurato tempo addietro, quando aveva baciato Esmeralda e le aveva restituito i genitori sotto forma di spiriti farfalla. Per questo Tarabas non l’avrebbe mai costretta, né presa con la forza, doveva essere lei a decidere se donarsi a lui, consegnandosi anima e corpo all’ignoto, oppure ucciderlo un’altra volta, e per sempre, rifiutandolo e rifiutarsi così di riconoscere in se stessa il germe dell’amore e del desiderio per lo stregone.
“Tarabas… ti prego…” le parole uscirono a fatica dalla bocca della principessa, tutto il suo giovane corpo era teso nello sforzo di resistere alle carezze lievi, ma sempre più indispensabili, del suo nemico.
Fantaghirò incrociò solo una volta lo sguardo di Tarabas, sarebbe stato troppo difficile per lei guardarlo più di un istante, non era ancora pronta per quel genere di intima connessione con lui, ma quello che vi lesse dentro quelle iridi smeraldo era desiderio, liquido, avvolgente, bruciante, lo stesso che sentiva lei nelle viscere e nella mente, in quello stesso momento.
“Baciami, ti prego…” Lo supplicò lei, socchiudendo gli occhi.
“Ogni tuo desiderio, mia Principessa, mi avvicina alla morte, ma come è dolce morire tra le tue braccia, sulle tue labbra…” Le rispose Tarabas con voce arrochita dal desiderio.
Lo stregone infilò le dita affusolate tra i suoi capelli e la tirò delicatamente a sé costringendola a piegare il capo da un lato, mentre con i polpastrelli dell’altra mano le sfiorava le labbra umide e dischiuse, in attesa.
“Per un momento, soltanto per un momento, non guardarmi con odio. Metti in questo bacio un po’ di quel sentimento che provi per il tuo Romualdo… Questo fu quello che ti dissi la prima volta, per quel primo bacio impossibile, ricordi?…” Le ricordò Tarabas spiazzandola, mentre Fantaghirò riapriva gli occhi e lo guardava smarrita, come se tutto l’incanto di quel momento fosse svanito.
“Non mentirmi Fantaghirò… so che è ancora così. So che in fondo al tuo cuore è cielo azzurro e sole dorato ciò che vedi, non certo oscurità e riflessi notturni…” continuò Tarabas, descrivendo prima Romualdo, poi se stesso.
“Tarabas tu ti sottovaluti… ed è evidente che non mi conosci ancora bene… Mai sarei qui se non fossi certa del mio cuore…” Gli rispose dolcemente Fantaghirò, cercando di ritrovare quel contatto con lui bruscamente interrotto dalle sue stesse parole.
Lo stregone sorrise amaramente e la liberò dalle corde incantate.
“Vai a casa Principessa, la tana del Drago non è il posto giusto per te… e se puoi dimentica ciò che ti ho fatto… sono pur sempre un uomo e sono innamorato, non ho saputo trattenermi, ti prego perdona e dimentica.”
Tarabas dava le spalle a Fantaghirò, non aveva il coraggio di guardarla ancora, mentre la mandava via dalla sua casa, dal suo oscuro regno, dal suo cuore.
“Non ci saranno altri baci impossibili…” dichiarò serio lo stregone.
“Ma io non voglio un bacio impossibile, io voglio te…” Gli sussurrò Fantaghirò arrivandogli alle spalle e posando il viso sulla sua schiena.
Tarabas le prese le mani e le strinse senza voltarsi, restando immobile, quasi senza respirare, stretto dolcemente in quell’abbraccio inaspettato.
“Fantaghirò… forse non sono l’unico ad essere crudele… tu non mi ami, eppure mi vuoi. Perché mi confondi? Io sento che tu appartieni al principe Romualdo. Non c’è spazio, né mai ci sarà per me…” lo stregone faceva un enorme fatica ad ammettere di essere secondo a Romualdo nel cuore di Fantaghirò, ma era quella la verità, o meglio, quello era ciò che lei gli aveva sempre ripetuto fino a poco tempo prima.
“Tarabas, ti prego guardami…” gli ordinò Fantaghirò, mentre lui era restio a voltarsi.
“Guardami negli occhi e dimmi cosa vedi, ascolta il mio cuore e senti qual è il nome che chiama…” continuò la testarda principessa quando finalmente il mago si voltò ad osservarla.
Fantaghirò era così bella, così pura, così indomita e così… triste”
“Perché piangi ora Fantaghirò? Ti ho forse ferito con le mie parole?” Si incupì Tarabas confuso.
“Proprio tu che hai creduto alla profezia sulla figlia di Re dal cuore puro, ora non credi a me? A colei che ti ha salvato dall’oscurità, che ti ha mostrato la via del rispetto e dell’amore?”
Le lacrime ora bagnavano copiose le guance della bella Fantaghirò e Tarabas non osava sfiorarla con le dita per raccoglierle, non capiva il perché di tanto dolore.
La principessa prese la mano di Tarabas e se la mise sul cuore, vicino al seno, ancora coperto dalle bende chiare, un vecchio retaggio di una vita e di un ruolo che Fantaghirò non era più sicura di voler interpretare.
Tarabas trattenne il respiro, il cuore di lei batteva troppo forte, era qualcosa di completamente nuovo, disorientante e bellissimo. Lo stregone si accorse che anche il proprio cuore aveva lo stesso ritmo, la stessa pulsazione.
“Tarabas sono venuta da te, perché ho capito che cosa voglio davvero. Io ti ho liberato, ora tocca a te liberare me…” Gli disse Fantaghirò senza esitazione e accompagnò lentamente la mano dello stregone là, dove gli ultimi nodi e lacci stretti tenevano nascosto il suo vero io.
Tarabas con mano ferma, nonostante l’emozione, sciolse le bende e liberò le forme gentili e armoniose di Fantaghirò.
Si fermò come ipnotizzato, ad ammirare quel seno piccolo e perfetto, e non perché fosse il primo che vedesse, oltre a quello di sua madre, ma perché era il suo, era il seno di Fantaghirò nudo, esposto e vero. Segno tangibile e inequivocabile della femminilità di Fantaghirò, quella stessa femminilità che tante volte lei stessa aveva ripudiato nascondendola, ora voleva che lui la guardasse, la toccasse, la facesse sua.
La principessa ormai semi nuda fece un passo verso di lui e lo sentì indietreggiare.
“Perché mi rifiuti Tarabas?” Domandò delusa, ancora una volta.
“Non ti sto rifiutando Fantaghirò…” ammise lui serio.
“Eppure non vuoi toccarmi, che cos’è questo, se non un rifiuto? Sono così brutta da non suscitare niente in te?” Domandò lei offesa.
“Brutta? O per tutti gli dei più oscuri, no, per niente. Sei… sei bellissima… e io ho paura. Paura di farti del male, paura di svegliarmi e scoprire che è solo un sogno. Un sogno patetico di chi non ha mai conosciuto altro che odio e disprezzo…” Ammise Tarabas attirandola a sé, facendo aderire i loro corpi in un abbraccio.
“Baciami allora, così saprai che non sono un sogno…” Gli chiese nuovamente lei e stavolta lui non si tirò indietro ma prese possesso delle sue labbra finalmente.
Lo fece con estenuante lentezza e devozione assaporando ogni singola sensazione, saggiandone la morbidezza sia con le labbra che con i denti, poi si stupì quando sentì la lingua di lei farsi strada nella sua bocca e, per un attimo, Tarabas si rivide come il mostro che era quando lei gli si era avvicinata la prima volta, ed ebbe il terrore di farle male, persino di ucciderla.
Si staccò da quel bacio umido e caldo e la guardò con occhi colmi di apprensione.
“Fantaghirò non posso… e se la bestia ritornasse fuori, e se la maledizione non fosse cessata?” Chiese preoccupato, mentre ancora in bocca aveva il sapore di lei e il formicolio di quel dolce contatto insperato.
“Io so chi sei Tarabas, e tu non sei un Mostro. Io non avrei mai potuto innamorarmi di un mostro…” Fantaghirò gli prese il volto con le mani, sollevandosi sulla punta degli stivali.
“Tu mi ami?” Domandò Tarabas, lei annuì.
“E sei vera?” Un altro cenno di assenso.
“E non sto sognando?” Fantaghirò sorrise e annuì nuovamente.
“Puoi baciarmi ancora, se lo vuoi Tarabas…” lo stuzzicò lei.
“Da quando ti ho incontrata non ho mai desiderato altro così tanto: baciarti e renderti felice…”
“Si da il caso che le due cose non si escludano, anzi…” gli ricordò lei sfiorandogli il mento ruvido di barba.
“Voglio che tu sia mia…” disse Tarabas con quella sua voce capace di mettere in ginocchio regni interi.
“Io sono già tua… il mio cuore lo è da tempo, il mio corpo lo sarà presto” Gli rispose Fantaghirò con voce altrettanto magnetica.
Tarabas la prese fra le braccia, sollevandola dolcemente come fosse una regina, e la depose sul grande letto che era sempre stato un giaciglio troppo grande per un uomo solo.
La fece sdraiare e poi si fermò nuovamente a contemplarla, dopo averle sfilato gli stivali e il resto degli abiti da uomo, che lei quasi sempre indossava, Tarabas non ricordava di aveva mai vista in abiti da principessa, né tantomeno nuda. Fantaghirò sotto di lui appariva ora più piccola e delicata di quanto non fosse quando stava in sella al suo cavallo con la spada al fianco e i capelli nascosti sotto quel discutibile caschetto da paggio.
“Romualdo mi ha tradito…” esordì tutto ad un tratto lei.
Non era certo il genere di confessione che Tarabas si aspettava in un momento simile, ma non disse nulla, non fece nulla, attese.
“L’ho scoperto tempo fa’, io credevo non mi volesse nel suo letto perché voleva aspettare che fossimo sposati, invece ho capito che si era innamorato di un’altra…” Ammise Fantaghirò con non poco sforzo.
“Te lo ha detto lui?” Domandò Tarabas che sentì l’antico odio per il rivale giungere a livelli mai toccati prima.
“Non ce n’è stato bisogno… l’ho capito dalla luce nei suoi occhi, ogni volta che parlava di lei, la principessa del regno dell’ovest, gli occhi di Romualdo si illuminavano in un modo tale che mai avevo visto prima…”
Fantaghirò era sul punto di crollare e Tarabas la fermò.
“Non devi dirmelo se non vuoi…”
“Il punto è che ho capito quanto mi amavi tu, vedendo come Romualdo amava lei…”
“Ed è per questo che sei qui? Per consolare il tuo cuore ferito, rifiutato dal tuo grande amore? La dolce Fantaghirò che prova pena per il mago reietto…” Tarabas si scostò da lei, quasi che si fosse ustionato e le parole gli uscirono gridando e Fantaghirò si spaventò, ma subito si ricompose e si alzò a sedere prendendolo per un braccio, impedendogli di fatto di allontanarsi ancora di più da lei.
“Tarabas, sono qui perché ho capito che anche io amo te. Tu sei la mia luce. Dal giorno che ti ho liberato dalla schiavitù della malvagità, non faccio che pensare a te, alla tua voce, al tuo sorriso, alle tue mani, e alla tua magia…” confessò Fantaghirò con disarmante innocenza.
“Alla mia magia?” Domandò lo stregone sollevando un sopracciglio.
“Sì, la tua magia e a tutte le cose belle che potresti fare, come hai fatto per Esmeralda” gli ricordò Fantaghirò.
“Oh, quella era solo una cosa da niente…” disse con noncuranza lo stregone.
“Ma ha reso enormemente felice Esmeralda e anche me…” ribadì Fantaghirò, nuda e bellissima alla luce delle candele.
“Tu tremi Fantaghirò” osservò Tarabas guardandola.
“È solo il freddo…” disse piano lei.
Tarabas schioccò le dita e un fuoco caldo e accogliente iniziò a crepitare nel braciere della stanza.
“Ho ancora freddo…” ribadì Fantaghirò.
Il mago allora fece apparire una grande coperta leggera e calda con la quale avvolse le spalle della principessa.
“Credo che nessuna delle tue magie possa curare questo freddo che sento…”
Tarabas la guardò con aria interrogativa, un po’ maliziosa, non era sicuro di aver inteso bene le sue parole.
Ebbe la conferma quando lei gli si gettò addosso e lo baciò di nuovo, cercando con le dita di sciogliere i nodi e i bottoni e di spogliarlo dagli abiti, ultima inutile barriera fra i loro desideri.
“Piano, piano principessa, abbiamo tutto il tempo, anzi il tempo scorrerà solo se io lo desidero…” si gongolò Tarabas mentre le sfiorava il viso e le baciava il collo, assaporando i suoi sospiri di piacere e di imbarazzo.
Si ritrovarono di nuovo sdraiati, entrambi nudi, sul grande letto.
Tarabas stuzzicava lentamente i fianchi di Fantaghirò con le mani scendendo verso il centro con le dita, sfiorando la pelle sotto l’ombelico e la linea delle anche.
L’aveva sentita gemere più volte, quando con la bocca aveva assaggiato i suoi seni, lambito con la lingua i capezzoli, piccole perle rosa scuro al centro di un mondo sempre nascosto alla luce del sole.
Si era perso nei suoi baci, aveva creduto di non essere lui, quello il cui nome lei ripeteva con tanto ardore.
Come suonava dolce il suo nome pronunciato da lei, nell’affanno del desiderio, nel sospiro del piacere.
Tarabas non era sicuro di ciò che stava facendo, ma i loro corpi sembravano avere una loro sintonia, una loro magica armonia che guidava ogni azione, ogni bacio, ogni carezza, ogni morso.
Fantaghirò si era lasciata assaggiare da lui, si era lasciata andare, aveva dato spazio al suo essere donna per lui. E Tarabas non si era mai sentito così felice e così bisognoso di lei, ancora e ancora, come se non fosse mai abbastanza.
Era bello amarla, e faceva male, ma era un dolore languido, appagante, necessario.
Era questo l’amore?
Perdersi l’uno nell’altra, non saper più distinguere a chi appartiene il respiro e il battito del cuore?
Tarabas se lo chiese fino a che fu lucido per farlo, ma quando lei inarcò il bacino verso di lui, circondandolo con le proprie gambe e lui sentì il calore della sua pelle e il dolce sapore dei suoi umori, non capì più nulla e lasciò che fosse solo l’istinto a guidarlo.
Entrò in lei dolcemente e la sentì irrigidirsi un poco, poi Fantaghirò espirò e lo baciò con foga, sulle sue labbra Tarabas riconobbe il proprio sapore, e capì che lei era davvero sua.
Il resto fu una danza di corpi e gemiti, e sussurri, e parole, e nomi.
Talvolta Tarabas ebbe ancora il timore che quello fosse tutto un sogno, un brutto scherzo della sua mente, ma il sorriso e le mani di Fantaghirò intrecciate alle proprie, così come i loro respiri caldi, pelle contro pelle, gli rammentavano che era stato tutto vero.
La principessa e lo stregone avevano fatto l’amore, la loro prima e, non unica volta, e persino il mondo fuori pareva essersi fermato per osservare quello straordinario evento.
Gli amanti impossibili avevano reso possibile l’impossibile e, presto, sarebbero stati benedetti da un altro grande dono: un bambino con gli occhi di smeraldo come il padre, la pelle di luna, e i capelli rubati al sole al tramonto, come quelli di sua madre.
Samanta Crespi
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