Sarà disponibile dal 26 febbraio on demand su iTunes, Google, Chili Tv, Rakuten e Amazon Direct LA REGOLA D’ORO, il film di Alessandro Lunardelli (Il mondo fino in fondo), interpretato da Edoardo Pesce, Simone Liberati, Barbora Bobulova, Hadas Yaron e Rita Hayek
Cosa
diavolo ci fa uno come Ettore Seppis dietro le quinte di una grande
prima serata televisiva? Se lo chiede anche lui, mentre aspetta di
ritirare un premio al Teatro antico di Taormina, pronto – si fa per
dire! – a salire sul palco tra i flash dei fotografi e gli applausi del
pubblico. Ettore è un soldato, ha trascorso gli ultimi cinque mesi
prigioniero dei fondamentalisti siriani, e adesso che è tornato a casa
tutti lo trattano come un eroe: autografi da firmare, giornalisti a cui
rispondere, conduttrici che sognano il picco di ascolti. E lui? Qualcosa
lo tormenta, un segreto su cosa è realmente accaduto in Siria: avrebbe
bisogno di parlarne, ma con chi? L’unico sembra Massimo, l’autore tv che
dovrebbe preparare il suo discorso di ringraziamento: magari un giorno
diventeranno amici, ma per ora sono due calamite che più si avvicinano e
più si respingono…
Racconta il regista, Alessandro Lunardelli: “Perché
ho scelto di fare questo film? Oggi che cosa c’è ancora da dire sul
mondo della Tv? In passato, ho avuto la possibilità, il piacere e il
bisogno di lavorare per un’emittente nazionale come trailerista e
ricordo ancora il momento in cui mi chiesero di ideare un promo per far
credere al pubblico che Rambo fosse
un film al femminile. Il motivo? La controprogrammazione in prima
serata a una partita di calcio. Con ingenuità credevo non fosse
possibile, e chiaramente mi sbagliavo. Ecco, forse quello che oggi posso
dire della tv, che è lo stesso di quello che potevo dire ieri, è che da
sempre ne sottovaluto la capacità di superare la mia fantasia e i miei
limiti.
Di
quell’esperienza ricordo anche con piacere le buste paga e la
possibilità di vedere film in continuazione, di ogni genere. E colleghi
con cui discuterne. Alcuni facevano quel lavoro da trent’anni e non se
n’erano accorti.
Massimo, il personaggio di Edoardo Pesce, è nato
proprio per incarnare quel sottile disincanto, un “uomo di lettere” che
spende la propria vita come autore nel dietro le quinte di una
trasmissione di approfondimento, nella convinzione di procedere con
dignità verso i propri sogni, a piccoli passi o almeno per
approssimazione. «Sei sicuro che vedi questo in me?» Mi ha chiesto
Edoardo al provino, sapendo che non avrei mai sostenuto il contrario:
«mettiamo in scena un uomo di successo davanti alla sua ultima chiamata e
bisogna vedere chi la vince tra lui e il mondo accattivante e in
qualche modo generoso che l’ha sostenuto, non è nient’altro che un
duello. E te la dovrai vedere con un giovane militare.»
Come il suo personaggio, che scandaglia i fatti di cronaca per individuare l’ospite da portare alla ribalta, anch’io
sono arrivato alla scelta del contendente “Ettore” ispirandomi a un
evento reale e drammatico: la richiesta di riscatto per dei militari, di
cui uno europeo, rapiti in Siria. Quella notizia mi aveva colpito
perché la richiesta di denaro non era come tutte quelle a cui
cinicamente ci eravamo abituati in quel periodo ma era stata lanciata in
Internet e non si rivolgeva alle casse dello Stato bensì a tutti i
cittadini.
Sgomento e pietà erano emozioni che attanagliavano tutti e
volevo indagare quali fossero invece i sentimenti e le conseguenze per
un narratore di spettacolo che deve impegnarsi non tanto a manipolare la
storia quanto a piegarla nella direzione più conveniente. Nel film come
nella realtà, la guerra continuerà, a distanza, e non riuscirà mai a
spazzare ciò che è futile, a esigere di schierarsi, ad imporre il
cinismo.
Ettore, il militare interpretato da Simone Liberati, però la guerra la vive davvero.
È stato un personaggio difficile da affrontare per entrambi: Simone ha
dovuto procurarsi nel fisico gli stenti di una lunga prigionia, mentre
io ero ben felice di affrontare il limite di un paese che non ha una
epopea militare moderna a cui inneggiare e di un relativo eroe in
mimetica da esaltare. Ma avevo una suggestione molto personale da
inseguire e ho attinto a tutte le testimonianze reali a cui potevo
arrivare per trovarne riscontro: Generali, Associazioni di volontariato,
reduci, giornalisti rapiti. E ognuno di loro aveva vissuto qualcosa di
molto simile al nostro personaggio: non importa se indossi la divisa, se
reggi un microfono o se a pochi chilometri risuonano le bombe, tutti,
almeno con il pensiero, si sono nascosti in un bagagliaio per evadere da
un compound o da un hotel e vivere pochi minuti di amore. Ed ecco che
il terreno di scontro con Massimo si delineava: non più la Tv, non più
la guerra ma le ferite e il diverso colore del sangue tra chi si è
protetto dietro le quinte e chi è stato capace di perdere la libertà per
necessità e passione”
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