Su consiglio di un’amica ho letto un libro appena pubblicato che si intitola Voglio abbracciare il vento di Piero Cresci, questo breve romanzo tratta proprio la tematica dell’autismo, raccontato in prima persona da chi ci vive e “convive”.
Uso la parola “convivere” non perché voglia calcare per forza sul lato difficile di avere questa situazione, ma perché talvolta essa è resa difficile, non dall’autismo in sé, ma dalla società che non comprende e ostacola una vita serena e inclusiva alle persone con autismo che, ricordiamolo, non sono “diverse” solo perché neurodivergenti, ma perché hanno davvero bisogno che si conosca a fondo ogni persona perché la si possa aiutare al meglio, in ogni ambito di vita quotidiana e sociale.
La storia di questo libro è narrata dal punto di vista di Manuel un ragazzino di 12 anni con autismo, che partendo dal giorno del suo compleanno, il dodicesimo appunto, racconta a noi lettori come è stata la sua vita in famiglia, ma anche a scuola, dalla diagnosi di autismo in poi.
Il libro è preceduto da una dedica molto bella:
Non chiamarmi diverso Perché sono me stesso
Nei tuoi occhi diffidenti Prende forma la mia esclusione
Non sono un difetto Nessuno è perfetto
Se mi regali un abbraccio Io ti stringo e poi ti bacio… Vivo nel regno dell’innocenza
Rincorrendo il suono della mia parola
E mi lascio abbracciare dal vento
Per planare sulle onde del mare
Lo spettro conosce i miei nascondigli
Ma non voglio vivere nell’ombra
Distendo le mani in cerca di altre mani
L’amore può piegare l’indifferenza…
Questa dedica bellissima, come tutto il libro, in realtà è il regalo di un padre a un figlio.
L’amore di questo padre per suo figlio si legge in ogni riga, in ogni ricordo trascritto, così come si percepisce la rabbia e la delusione di dover lottare sempre contro le istituzioni e le persone che, troppo spesso, con la loro indifferente normalizzazione dimenticano che non siano tutti uguali e che i bambini e ragazzi con autismo, per forza di cose non possono avere lo sesso passo degli altri, ma col giusto supporto possono anche volare, e hanno tanto da dire, anche se le parole rimangono confinate tra la gola e il pensiero, come nel racconto di Manuel.
“Nel supermercato ho capito una cosa molto importante. Proprio come tutti gli alimenti che portano un’etichetta per distinguerli, anch’io avevo la mia personale classificazione: appartengo alla categoria disabile, autistico. Forse un giorno capirò appieno le etichette che appendono al collo delle persone, o forse no. O forse è proprio grazie a questa etichetta che mi è stata regalata che non ho alcun problema a dire: IO SONO AUTISTICO”.
Il problema del voler etichettare consciamente o inconsciamente tutto e tutti, porta spesso le persone disabili a girare loro malgrado con un’etichetta attaccata in fronte, ed è qualcosa di cui si vorrebbe davvero fare a meno.
Nel caso dell’autismo, poi, diversamente da altre disabilità evidenti, spesso ci si trova a dover spiegare più del dovuto, a doversi giustificare e questo è proprio ciò che non si dovrebbe più fare.
Manuel si descrive così ai nostri occhi:
“Io sono il vento che non sa soffiare.
Sono la pioggia che non sa bagnare.
Sono la neve di colore rosso.
Sono il tempo senza la sua percezione.
Ma ci sono e la mia dignità come persona deve essere sempre
rispettata, perché vedete, ho imparato a soffiare e posso soffiare ancora più forte. Io posso ululare come il vento e posso far muovere le foglie degli alberi. Ma per fare tutto ciò devo essere circondato di amore.
L’indifferenza e l’ostilità non danno amore, ma svuotano le persone.”
Ecco, questo è il messaggio centrale di tutto il libro e credo sia proprio ciò per cui vale la pena ricordare “la giornata della consapevolezza”, proprio perché si capisca che tutto si può fare, con impegno, amore, competenza e presenza. Tutti elementi che spesso mancano nella realtà di chi vive una disabilità.