Terrifier 3: recensione

Confermata e ormai conclamata icona del nuovo cinema horror, il pagliaccio assassino Art the clown, dopo aver ottenuto un successo superlativo con i primi due capitoli di Terrifier, si appresta ad invadere anche le sale cinematografiche italiane, con l’intento di lasciare un segno evidente nel mercato nostrano come ha già fatto in giro per il mondo.

Nato e creato dalla mente del regista Damien Leone, il quale si è sempre occupato anche degli effetti speciali dell’intera saga (comprendente anche un cortometraggio del 2011 e un film prologo ad episodi intitolato All Hallow’s Eve, da noi divenuto Terrifier – L’inizio), il nostro Art, interpretato nuovamente da David Howard Thornton, torna quindi in scena con questo Terrifier 3, riprendendo le proprie gesta da dove eravamo rimasti, dopo che lo stesso mostro assassino sembra essere stato sconfitto nello scontro con la coraggiosa Sienna (Lauren LaVera).

Tornato in vita, Art, cinque anni dopo, assieme all’aiuto della sfigurata Victoria Hayes (Samantha Scaffidi), superstite della sua violenza ed ora votata al servizio del pagliaccio assassino, riprende mano alla propria follia omicida e, nel mezzo delle festività natalizie, decide di fare incetta di vittime nel mezzo di questa atmosfera gioiosa.

Nel frattempo Sienna, dopo essere stata in cura in diversi istituti, viene ospitata dai propri zii col solo scopo di dimenticare ciò che è successo, come anche suo fratello Jonathan (Elliott Fullam) sta cercando di fare al college dove si trova; ma ovviamente il clown malefico torna a farsi vivo sulla loro strada, lasciando dietro di sé una lunga scia di sangue che non risparmia nessuno, che siano donne, uomini, bambini e animali.

Lunga serie che ha preso forma da un budget risibile per poi ingrandirsi in qualcosa di seriamente professionale, quella di Terrifier è un’operazione più unica che rara nel suo contesto, dato che dalla qualità quasi amatoriale dei suoi esordi è rientrato di diritto nell’empireo del vasto pubblico mondiale, colpendo nel segno con la sua alta dose di raccapriccio e violenza, grazie innanzitutto ad una serie di effetti pratici, cioè con poca CGI, i quali risultano vincenti nel loro contesto nonostante l’assurdità dei vari omicidi.

Arrivati al terzo Terrifier, Leone si sbizzarrisce nuovamente con tutto ciò che Art potrebbe fare alle sue vittime, tramite l’utilizzo di numerose armi come asce, taglierini, motoseghe ed anche estintori modificati, ed inoltre getta nel mezzo una serie di strizzate d’occhio a quel cinema che l’ha cresciuto, grazie a citazioni dirette ad opere come l’episodio da Robert Zemeckis ne I racconti dalla crypta (gemello a quello interpretato da Joan Collins ne I racconti dalla tomba), Il cacciatore di teste di John McNaughton e La casa di Sam Raimi, usufruendo anche delle apparizioni di culto di volti noti come Tom Savini, Clint Howard e Jason Patric, quest’ultimo nei panni del padre di Sienna.

Siamo di fronte alla sagra del sadismo totale e della voglia di shockare a tutti i costi qua, con un’idea di cinema horror che va ben oltre il desiderio di raccontare una trama da brividi, ma anzi, col solo scopo di portare oltre ogni limite la furia assassina dell’Art di Thornton.

Ad una buona fetta di pubblico sta piacendo questa nuova tendenza, senza però fare i conti con la validità artistica di Terrifier 3 in sé che, diciamocela tutta, tende ad arrivare ad un inadeguato cattivo gusto totalmente gratuito e a tratti sconcertante per le libertà che si prende, come una impressionante scena al centro commerciale che, nonostante sia esente di numerosi dettagli splatter, lascia malamente di stucco per il compiacimento con cui viene mostrata.

Viene da dire che questo è un appuntamento che gli amanti dello splatter e dell’horror non dovrebbero mancare, quello è ovvio, ma parlare di vero e proprio miracolo artistico in questo caso non è proprio esatto, perché il film in sé narrativamente è abbastanza un pastrocchio, con una sottotrama fantasy che sinceramente poco si addice all’intera confezione orrorifica, ed inoltre è difficile da accettare in tutte le sue libertà visive, perché spaventare il pubblico vuol dire ben altro che lasciarlo assistere a torture infinite su grande schermo.

Mirko Lomuscio