A real pain: recensione

Dopo aver militato per anni come interprete, per il noto attore Jesse Eisenberg ormai da qualche anno è giunto il momento del grande salto dietro la macchina da presa, mostrando magari un’indole artistica tutta nuova per i suoi fan e per gli spettatori che hanno imparato a conoscerlo tramite le sue interpretazioni, che sia il biografico The social network, dove ricopriva i panni di Mark Zuckerberg, oppure il comic movie Justice League , cui spettavano i panni del malvagio Lex Luthor.


Quindi, dopo aver esordito alla regia nel 2022 con Quando avrai finito di salvare il mondo, nel 2024 il buon Eisenberg decide di trattare nuovamente un cinema più intimista con questo A real pain, parlando di un lungo viaggio verso l’Europa fatto da due cugini di origini ebraico polacche, agli antipodi per stili di vita ma in passato legati fortemente.

Infatti David Kaplan (Eisenberg) è sposato con figlia, un lavoro remunerativo alle spalle e ha una vita realizzata; suo cugino Benji Kaplan (Kieran Culkin) invece viene da un’esistenza abbastanza travagliata, reduce da una recente tragedia ma comunque portando sempre con sé un’espansività contagiosa, che lo pone agli occhi di tutti più spensierato di quello che sembra.

Loro nonna muore e come da accordi lascia ai due una somma di denaro per svolgere un viaggio verso la Polonia, in modo da poter conoscere le proprie origini e vedere con proprio occhio ciò che i loro avi hanno passato anche durante l’Olocausto.

Ma tale tragitto si rivelerà per i due cugini una scusa più che valida per passare nuovamente del tempo assieme, cercando di ritrovare quella parte di loro che il tempo ha fatto smarrire e far sì che David possa nuovamente ritrovare quella strana voglia di vivere di suo cugino Benji.

Piccola pellicola che vive di interpretazioni magnetiche, A real pain è un prodotto che mostra un lato da narratore che il buon Eisenberg condensa con occhio affettivo, mettendo in scena un rapporto fraterno amichevole come poche volte è stato fatto nel corso degli anni.

Infatti il film pulsa e trova un suo perché nei continui duetti tra il regista interprete e il ben calibrato Culkin, sulla cui verve e bravura si basa gran parte del senso cinematografico di questo lungometraggio, un titolo che scruta nelle origini del suo autore e che viene portato al cospetto degli spettatori con una semplicità e bellezza che fanno il proprio dovere.

Non eccelle a capolavoro A real pain, questo è poco ma sicuro, ma il modo in cui sfrutta una trama canovaccio (memore un po’ di Ogni cosa è illuminata di Liev Schreiber) con fare sapiente e senza eccessivi tocchi autoriali fa sì di rendersi una gradevole visione pregna di sentimento e commovente emotività, creando un dualismo tra i due protagonisti che molti sentiranno sulla propria pelle, per messa in scena e per la scrittura finissima sempre a cura di Eisenberg stesso.

E nonostante determinati dettagli importanti, la partecipazioni di alcuni attori come la Jennifer Grey di Dirty dancing – Balli proibiti e l’argomento che guarda all’ebraismo in modo sentito, quello che comunque prevale su tutto è la presenza di Culkin, il quale con i suoi sguardi e la sua performance si autoproclama vera e propria anima pulsante di A real pain, meritandosi una candidatura agli Oscar come attore non protagonista (un’altra nomination è andata allo script a cura di Eisenberg).

Mirko Lomuscio

Lascia un commento