La maledizione – The curse

Continuano i racconti scritti da Samanta Crespi e ispirati al film Ladyhawke del 1985 diretto da Richard Donner.

Buona lettura!

Seduto sul suo scranno, Sua Grazia, il Vescovo di Aguillon, stringeva nella mano un frammento di pergamena, vergato con fine calligrafia e sigillato con timbro e ceralacca.

Quella era solo l’ultima delle tante missive che Isabeau D’Anjou, figlia del defunto Conte D’Anjou, gli rispediva indietro senza nemmeno degnarsi di leggerla.

Si alzò, e con scatto rabbioso gettò lontano quei pensieri d’inchiostro, scritti da lui solo per lei, Sua Grazia ne era stato rapito, catturato fin dal primo istante che il suo sguardo di ghiaccio aveva incontrato gli occhi celesti di lei e la sua pelle di alabastro.

Un amore folle il suo e Isabeau perciò si teneva a distanza, con gentilezza, ma anche con fermezza.

Il vescovo, con passo deciso si mosse verso una delle vetrate dell’imponente basilica, strofinandosi le mani toccò l’anello di rubino, dal quale non si separava mai, che si colorò di sinistri riflessi violacei, rispondendo silenziosamente ai cupi pensieri del proprio portatore.

“Lei sarà mia, non importa come, dovessi smuovere tutti i diavoli dell’inferno, quel prete sciocco e debole pagherà caro per avermi tenuta nascosta la verità…”

Il prete sciocco al quale si riferiva Sua Grazia, altri non era che padre Imperius. Un suo vicario che purtroppo, avendo il vizio di eccedere con il vino, ubriaco durante la confessione al suo superiore aveva svelato il segreto dei due amanti, la bella Isabeau e il capitano delle guardie Etienne Navarre.

Navarre fino a quel momento era stato il braccio destro del vescovo e, proprio per questo, la rabbia per quel tradimento bruciava ancor di più. Il capitano dagli occhi di ghiaccio e la lucente livrea rosso-nera sapeva perfettamente dei sentimenti di Sua Grazia nei confronti della giovane contessa D’Anjou, ma come poteva lui esimersi dall’amarla?

Non si sceglie l’amore, esso sceglie il cuore in cui albergare ed il cuore di Etienne Navarre era da tempo irrimediabilmente perso per lei, quasi che battesse solo al suono della sua voce.

Stanco di aspettare, Sua Grazia raggiunse il chiostro dove sapeva avrebbe trovato Marquet, un cavaliere dal carattere duro e senza scrupoli, che presto sarebbe diventato il nuovo Capitano delle guardie.

“Vedo che non hai perso il vizio di correre dietro alle mie ancelle” esordì il vescovo rivolto all’uomo dai capelli scuri e dalla barba incolta, in netto contrasto con il candore della tunica che indossava. Marquet stava cercando inutilmente di estorcere attenzioni ad una fin troppo giovane ragazza dai lunghi capelli corvini e una corporatura talmente esile da farla sembrare malata.

“Sua Grazia… sarei venuto da voi tra poco” tentò di giustificarsi il Cavaliere, mentre la giovane fanciulla ne approfittava per fuggirgli via dalle grinfie.

“Bando alle chiacchiere Marquet. Non ho tempo da perdere, fai preparare i cavalli, abbiamo due traditori da catturare” disse freddo il vescovo.

Marquet non capì come mai Sua Grazia non volesse inviare qualche altro soldato alla ricerca di due furfanti qualsiasi, non era da lui scomodarsi in prima persona per cose di così poco conto.

“Marquet conto sulla tua discrezione, i traditori in questione non sono persone qualunque, bensì si tratta del Capitano Navarre e della Contessa D’Anjou. Voglio occuparne io personalmente, ma tu mi accompagnerai” ordinò il vescovo e il cavaliere in bianca livrea non poté che obbedire. Fece un rapido inchino a Sua Grazia e si avviò rapido a sellare i cavalli.

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Quella sera minacciava temporale e l’aria era umida e fresca, tipica dell’inizio dell’autunno, Isabeau venne scossa da un brivido e Navarre, prontamente, le porse il proprio mantello per coprirsi. Era esausta, il volto tirato illuminato solo dal tenue bagliore lunare, gli occhi azzurri riflettevano la luce in modo assai particolare ed intrigante.

“Navarre…” nella voce di lei vi era quasi una supplica, una silenziosa richiesta di rassicurazione , si sentiva spaventata, davanti a lei l’ignoto non solo della notte, ma del futuro.

I due amanti si erano lasciati ogni cosa alle spalle, la città, la propria vita, gli affetti e le sicurezze, e tutto per colpa di padre Imperius e la sua lingua sciolta. Navarre non lo avrebbe mai perdonato, la sua noncuranza li aveva costretti a divenire fuggiaschi, colpevoli soltanto di amarsi.

“Ci fermeremo appena farà giorno…” disse il cavaliere alla dama dalla lunga chioma biondo-ramata, intuendo le sue preoccupazioni.

“Ti proteggerò, lui non ti si avvicinerà…” il capitano delle guardie alludeva al Vescovo, la causa di tutti i loro mali.

“Lo so” disse Isabeau e ne era davvero convinta, si fidava di Navarre a tal punto che niente l’avrebbe fatta vacillare.

Goliath, il loro fido destriero dal manto lucido e nero, scalpitava agitando nervosamente il muso, probabilmente avvertiva qualcosa di sinistro oltre il sentiero che stavano percorrendo. Isabeau, percependo l’irrequietezza dell’animale, toccò con una dolce carezza il collo del purosangue che si acquietò, subito dopo, però, fu lei ed essere percorsa da un brivido, e capì che non erano soli.

Navarre smontò da cavallo in apprensione, quella di Isabeau non era stata solo una sensazione. Qualcuno c’era davvero ed era molto vicino a loro.

Che li avessero già trovati?

“Impossibile” si disse Navarre, le guardie avrebbero dovuto volare per percorrere la distanza che separava loro due da Aguillon, eppure i rumori nella boscaglia che giungevano alle orecchie del Capitano, parevano proprio essere quelli di soldati in agguato.

“Aspettatemi qui” Disse Navarre rivolto alla dolce Isabeau e al fido Goliath, addentrandosi tra il folto degli alberi, l’elsa della sua spada a mezz’aria rifletteva i timidi raggi lunari nell’oscurità di quella notte.

Per un po’ tutto tacque, solo i versi di una civetta sovrastavano il suono ritmico del respiro di Isabeau mescolati agli sbuffi del purosangue. Navarre non tornava e lei iniziò ad essere impaurita dalla situazione, tanto  che ella decise di estrarre il proprio pugnale dal fodero per tenersi pronta.

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“Non ti facevo così sciocco Navarre. Saresti dovuto rimanere sul sentiero, avresti avuto migliore fortuna!” A parlare era stato Marquet, che con altri sei uomini a cavallo aveva circondato l’ex Capitano delle guardie dal mantello rosso e nero.

“Credi di farmi paura Marquet? Se non fosse che so che temi Sua Grazia più della morte, non saresti qui a minacciarmi, al contrario saresti già fuggito come fa una lepre da una faina” Navarre si mostrò sicuro di sè, per nulla intimorito da quella situazione, come se fosse perfettamente a suo agio in un combattimento impari.

“La tua spavalderia ti costerà cara. Ti consegnerò insieme a quella traditrice a Sua  Grazia in persona, non ha senso che io mi sporchi le mani con del sangue bastardo…” Marquet alludeva all’ascendenza non proprio immacolata di Etienne Navarre, il quale però, aveva  assunto quel ruolo così importante di Capitano delle guardie per meriti personali e non solo per nobili natali.

“Tu non la toccherai!” Fu il grido di Navarre in risposta al ghigno  beffardo di Marquet.

“Non credo ce ne sarà bisogno… guarda tu stesso” Il cavaliere in bianca livrea indicò un punto alle spalle di Navarre, egli si girò di scatto sentendo un brivido percorrergli la schiena. Quando la vide, scortata da due soldati a cavallo che le puntavano la lama alla gola, il cuore gli arrivò in fondo allo stomaco.

Erano in trappola, l’uomo dai capelli color del grano capì che aveva commesso un errore fatale nel lasciare Isabeau sola sul sentiero, la sua mente iniziò a vorticare, doveva trovare una via di fuga, se non per sé almeno per lei. Gli occhi della donna si incatenarono ai suoi e, attraverso quel muto sguardo, gli comunicarono tutta la paura che lei provava in quel momento, ma che non osava esternare.

“Giusto in tempo, signori miei. Sta giungendo Sua Grazia…” Sottolineò Marquet, mentre con uno sguardo, a metà tra il lascivo e il disgustato, si rivolse alla bella dama in sella a Goliath.

Navarre sapeva, forse più di Isabeau, quanto terribile poteva essere la vendetta del Vescovo di Aguillon nei confronti di chi osava contrariarlo, o peggio, tradirlo, in fondo non era stato allontanato da Roma stessa senza motivo. Quell’uomo era l’incarnazione del demonio, crudele nelle sue azioni e folle negli intenti. Nessuno fino a quel momento aveva osato sfidarlo, nessun uomo mai, tranne Navarre.

L’unica colpa di Isabeau, invece, era quella di non averlo ricambiato, innamorata come era del bel Capitano, come poteva lei, così fresca e giovane, amare qualcuno come Sua Grazia?

Un uomo duro come la pietra e freddo come il ghiaccio.

Navarre che come unica difesa contro otto uomini aveva la propria spada, fece l’unica cosa ragionevole da fare, si consegnò, ma prima con uno schiocco delle labbra produsse un suono che alle orecchie fini del suo cavallo suonò come un ordine.

Goliath si impennò scalciando via i due uomini che tenevano in scacco Isabeau, lei, di riflesso, si aggrappò forte al collo dell’animale per non cadere. 

“Scappa! “ Fu l’unica, e forse ultima, parola che Navarre rivolse ad Isabeau prima di vederla fuggire via verso la libertà.

Marquet fece per dare ordine ai suoi uomini di inseguire la donna, quando sua Grazia con un cenno lo fermò.

“Lasciala andare, non mi serve qui. Pagherà, ovunque andrà, la mia magia la scoverà!” Disse il Vescovo incedendo verso il cavaliere dai capelli scuri, con una calma quasi surreale. Ad ogni suo passo il lungo abito talare frusciava e nel buio di quella notte il candore dell’abito di sua Grazia, insieme al pallore del suo volto tirato, lo fecero appare più come un fantasma, che un uomo in carne e ossa.

Navarre fronteggiò il religioso con lo sguardo infuocato e con la spada in posizione di attacco, alcune guardie però, lo bloccarono non permettendogli di avvicinarsi al Vescovo.

“Credi di intimorirmi con la tua spada Capitano? Sei convinto che io tema la morte? Dio mi è testimone, tu sei un traditore, un vile peccatore e pagherai per questo affronto, anzi, pagherete entrambi… Se non posso averla io nessuno la avrà”. Quest’ultima frase, sua Grazia, la pronunciò sottovoce, quasi che temesse di dare corpo a quel sentimento così forte e oscuro verso la donna dalla pelle di alabastro e gli occhi di un azzurro profondissimo.

L’uomo dalla lunga veste bianco-dorata alzò entrambe le mani al cielo, rivelando dita ossute e una pelle diafana. L’anello di rubino che indossava iniziò a inondare i presenti con una diffusa e sinistra luce rossastra, un fulmine vermiglio che prima ghermì Navarre facendolo stramazzare al suolo privo di sensi, poi si inoltrò nel bosco inseguendo l’altra vittima designata di quell’infernale maleficio: Isabeau.

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Galoppava veloce Goliath, senza esitazione alcuna il cavallo attraversava la boscaglia allontanandosi dal sentiero battuto, obbedendo ciecamente all’ordine impartito dal suo padrone, Etienne Navarre.

Isabeau si teneva stretta al collo lucido dell’animale, la criniera nera le sfiorava il viso.

La mente vorticava in preda alla paura, Isabeau non sapeva come stesse Navarre ne come avessero fatto a scovarli, sapeva solo di dover fuggire, il cuore le diceva di tornare indietro per aiutare Navarre, ma il pensiero di poter finire in mano a sua grazia il vescovo e in balia dei suoi cambi di umore, le serrava le viscere a tal punto da nausearla.

Ne aveva paura sì, ma un attimo dopo, Isabeau si disse che non aveva senso fuggire senza di lui, lei non era niente senza Navarre. Erano destinati l’uno all’altra, lo aveva sempre saputo, non poteva abbandonare l’altra metà del suo cuore.

Si fece coraggio e diede un leggero strattone alle briglie di Goliath, il quale pian piano rallentò fino a fermarsi in una radura che dava su uno strapiombo, ricoperto da una distesa di abeti.

Isabeau stava per tornare indietro da dove era fuggita, quando fu colpita da un bagliore rosso e potente, che le fece perdere i sensi, così repentinamente da farla cadere da cavallo. Fortunatamente le sterpaglie e le foglie sul terreno attutirono il colpo e lei vi rimase lì sdraiata con accanto Goliath che non si mosse e non la abbandonò, nemmeno quando comparve un lupo dal manto scuro, che con il suo ululato espresse il proprio dolore straziante alla luna. L’animale non li aggredì, ma al contrario si mise accanto alla donna come se fosse addomesticato, e lì rimase fino all’alba.

Ai primi raggi del sole, un confuso Navarre, fissava un bellissimo falco pellegrino accanto a sé che sbatteva le ali irrequieto. Al capitano ci volle un po’ per comprendere cosa era accaduto, poi ricordò le azioni e le parole del vescovo la notte precedente e pianse lacrime amare…

Erano stati maledetti nel modo più crudele che Sua Grazia potesse concepire, li aveva divisi senza separarli.

Di giorno Isabeau era costretta a trasformarsi in un falco pellegrino dalle morbide piume e dalla vista acuta; di notte Navarre prendeva le forme di un fiero lupo dal folto manto e dalle agili zampe.

Uomo e donna condannati ad una semi-vita umana, finché il sole sorgerà e tramonterà; finché ci saranno il giorno e la notte, per tutto il tempo che sarà loro concesso di vivere.

Sempre insieme, eternamente divisi…

 

Samanta Crespi

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