La treccia: recensione

La treccia è uno di quei romanzi che inizia lento, ma già dalle prime righe ti cattura.

È la storia di tre donne: Smita, Giulia, Sarah.

Queste tre donne non potrebbero essere più diverse e più lontane tra loro, eppure un sottile filo le unisce tutte ed il perché si spiegherà a fine romanzo.

Smita è di origine indiana, è un’intoccabile, una fuori casta, una Dalit, il suo destino, e quello, degli oltre come lei, è quello di rovistate fra i rifiuti, ripulire le latrine degli altri.

La donna non accetta che la figlia di sei anni unisca il suo stesso destino, Smita ha un sogno, “una farfalla che le si agita nello stomaco”, desidera poter dare alla figlia una vita diversa, desidera che la piccola Lalita impari a leggere e scrivere, che possa aspirare ad un futuro diverso da quello di sua madre e sua nonna prima di lei.

Giulia è una giovane ragazza di vent’anni, palermitana, con la testa sulle spalle, adora leggere e divide le sue giornate tra la biblioteca e il laboratorio artigianale di famiglia.

Suo padre lavora i capelli per poi venderli, nell’arte della cascatura il laboratorio Lanfredi è rimasto uno degli ultimi specializzati.

Giulia e le altre operaie ci lavorano con passione e dedizione, fino a quando, dopo l’incidente del padre, lei non scopre che tutto quel suo mondo è sull’orlo del fallimento.

Al laboratorio rimane solo un mese di lavoro prima di chiudere per sempre i battenti e Giulia, rimasta da sola alla guida della nave, poiché il padre muore in ospedale, deve trovare una soluzione: licenziare tutti, o aprirsi ad un progetto nuovo e ostacolato da tutte le donne della sua famiglia.

Sarah è una brillante avvocatessa canadese di quarant’anni. Manager in carriera, madre di tre figli, che trascura per il lavoro allo studio Johnson & Lockwood presso cui è socia e che le richiede enormi sacrifici di tempo.

Tutto cambia quando, in seguito ad un malore, Sarah donna forte e determinata, sempre pronta a trovare strategie e a preparare arringhe, scopre di avere un tumore al seno, uno dei più brutti e più aggressivi.

Per un po’ cercherà di mantenersi calma, di comportarsi come se la malattia fosse un caso da discutere qualcosa da schedulare ed organizzare, poi il cancro chiederà il conto e Sarah sarà costretta a rendersi conto che per lo studio di avvocati lei non è poi così indispensabile, anzi è malata, quindi non può essere più totalmente “efficiente”.

Inizierà per lei tutta una serie di discriminazioni che la faranno sentire isolata, depressa, fragile, inutile. Finché lei stessa non deciderà di reagire e di riprendersi quel che resta della sua vita, trasformandosi in una donna nuova.

I capelli, saranno proprio ciò che unisce tutti questi tre destini. La lunga treccia di Lalita, domata come offerta al Dio Visnu, nel tempio di Tirupati, finirà tra le mani abili delle operaie del laboratorio di Giulia che, per salvarlo, ha accettato di aprirsi al mercato estero, non più solo a quello siciliano. Come le ha suggerito Kamal, un ragazzo indiano che lei ha imparato ad amare e da cui non vuole più separarsi. Il piccolo laboratorio di casa Lanfredi, ora si occupa anche di capelli indiani di importazione, che poi vengono rivenduti, una volta assemblati in parrucche o altro, sul mercato di tutto il mondo.

Quella stessa parrucca assemblata coi capelli indiani, anche di Smita e Lalita, finirà a fare il giro del mondo per depositarsi nelle mani di Sarah, che grazie a quei capelli ritrova un po’ di sé e del suo essere donna, nonostante il fatto che la malattia l’abbia minata nel fisico e nell’orgoglio.

 “Un uomo calvo può essere considerato sexy, una donna calva è solo malata”, dice Sarah pensando con tristezza a quei suoi capelli che non ci sono più.

Sarà proprio grazie a quella parrucca così di pregevole fattura, che Sarah ritroverà la forza di lottare e di sopravvivere al tumore.

Ecco ho trovato questo romanzo intenso e delicato come pochi altri. Ho adorato la forza di queste tre donne, vite diverse, eppure così determinate a lottare, a dare un senso al proprio tutto, spinte dalla speranza, e da una energia invidiabile.

Una storia che fa riflettere sul senso delle cose, sul destino, a volte ingrato, che ci colpisce. L’idea di fondo che si percepisce è che, comunque vada, siamo tutti legati da un filo invisibile e le nostre azioni possono avere una grande risonanza positiva nel mondo, magari anche le più piccole, o le più banali.

Mi ha dato grande gioia e conforto leggere questo libro, che trovo semplicemente disarmante nella sua semplicità e bellezza.

 

Samanta Crespi

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