Quanti di voi adulti ricordano com’erano da piccoli? Sicuramente più divertiti e meno stressati di oggi, sempre presi da quei passatempi creativi che potessero aprire una porta verso la speranza di un futuro soddisfacente.
Ma se tale futuro poi non è diventato ciò che speravate, cosa potrebbe dirvi il bambino che eravate una volta? E se quest’ultimo potesse parlarvi, allora cosa sarebbe capace di fare in riguardo?
Queste sono le premesse che danno vita ad un piccolo film indipendente come Peggio per me, opera realizzata da tale Riccardo Camilli, un nome che si è smosso da tempo nel sottobosco degli autori meno blasonati e che con solo 6000 euro realizza questa pellicola dagli spunti interessanti.
L’idea su cui si basa la sua opera è alquanto accattivante, dato che è la storia di un uomo oltre i quaranta, Francesco (lo stesso Camilli), che si ritrova a dover fare i conti con gli esiti della sua attuale esistenza; un matrimonio fallito alle spalle, un lavoro da insegnante di sostegno ormai alla deriva e una figlia che non ha alcuna intenzione di voler legare con lui.
Una serie di eventi che lo spingono all’estremo gesto, cioè suicidarsi, salvo essere fermato in tempo da un’inaspettata sorpresa: dall’audio di un vecchia audiocassetta, registrata per divertimento quando aveva solo 12 anni, Francesco ascolta la voce del bambino che era negli anni ’80, il quale lo consiglia su come dover affrontare tutti questi problemi.
Spinto a proseguire la propria critica esistenza, il nostro protagonista decide di seguire un tenore di vita diverso, affrontando le complicazioni esistenziali in modo ragionevole, perché così facendo i risultati si vedranno.
E’ certo che quando si ha a che fare con un’opera dal budget irrisorio tocca sempre spremere le proprie meningi in creatività, cosa che a questo Peggio per me non manca davvero, giocando questa idea del confronto personale tra il fanciullo che è in noi e l’adulto che siamo diventati con vera originalità; solo che Camilli, appassionato di tanta commedia cara al cinema di Francesco Nuti e simili, decide di incentrarsi esclusivamente sul lato tragicomico del tutto senza spingere il pedale sul dettaglio fantasioso che accende la miccia creativa.
Così agendo l’opera in questione diviene quindi un lungometraggio ironico che parla di tragici quarantenni un po’ come hanno fatto molti autori italiani finora, rischiando quindi di rientrare nel pieno anonimato, purtroppo.
Peggio per me è la storia di una generazione, quella dei quarantenni d’oggi, che può ritenersi sconfitta in ogni fronte, che sia professionale o personale, ma narrata con quel pizzico di fantasia che davvero avrebbe potuto trarne una degna morale in puro stile anni ’80; che Camilli sia un amante della macchina filmica lo si capisce dalla passione che mette nella sua scrittura, raccontando dei vari rapporti che uniformano il protagonista Francesco, dall’amico di sempre Carlo (interpretato da Claudio Camilli, fratello del regista) alla ex-moglie Anna (ricoperta da Tania Angelosanto) fino alla propria mamma (resa da Alessandra Ferro), condensandoli in una storia ironica che non tarda a sfociare nel fantasioso più puro quando serve.
Ma questo ultimo dettaglio, essendo sfruttando poco e niente qua, finisce nel far divenire Peggio per me una fotocopia di tanto cinema ironico visto e stravisto, salvo però essere realizzato con un budget di molto inferiore a produzioni cinematografiche più blasonate.
Per la simpatia del tutto il film di Camilli vince la sua piccola scommessa, ma solo parzialmente, perché i risultati finali portano ad una visione fin troppo lunga e densa di luoghi comuni della solita commedia.
Mirko Lomuscio