L’ultima volta che sono entrata in una boutique, ero con mia mamma a Milano.
Dovevo avere 11 -12 anni e lei era ancora la detentrice del mio look.
Mi faceva tenere i capelli corti e decideva quello che mi sarei messa.
In via Bocconi, dove abitavo, c’era il fruttivendolo, il macellaio, il panettiere e la boutique.
Non c’erano negozi di vestiti.
Non c’era Zara.
Né Promod.
Tanto meno HM.
Dentro alla boutique c’era una signora gentile che ti conosceva, ti raccontava e non aveva fretta.
Non la dovevi rincorrere per chilometri per chiederle un’informazione.
Non ti rispondeva scazzata.
Tutti i giorni, forse perché è davanti alla fermata dell’autobus, mi trovo davanti ad una piccola boutique.
E tutti i giorni, guardo un abito dalla vetrina, perché all’uscita di scuola il negozio è chiuso.
Non fanno orario continuato, se ne fregano se tu lavori le boutique.
Sabato, dunque ci sono andata apposta.
“Quella di oggi è una bella moda, signorina” ha esordito la signora.
E mi ha fatto provare vestiti che non avrei mai avvicinato.
Anche perché se non l’avessi fatto ci sarebbe rimasta male.
Voleva davvero vedere come mi stavano, perché i vestiti si vedono addosso.
Come le canzoni, che fino a quando non le canti non sai se ti donano o no.
E dopo che ho provato tutto il negozio, avrei voluto passare con lei il pomeriggio.
Prendere il caffè, guardare due riviste.
Che comprare un abito è anche quello.
L’abito che avevo puntato mi sta bene.
Ma la cosa più bella è che prima di uscire mi aspettavo lo mettesse nel sacchetto.
Invece no.
Prima di farlo, lo ha piegato delicatamente e poi lo ha incartato in una velina.
Come se fosse un vaso di cristallo da proteggere dagli urti.
O un mazzo di fiori delicati.
“Così si presenta bene anche quando lo apre a casa”
Solo quella velina meriterebbe il doppio del prezzo che l’ho pagato.
Testo Francesca Lorusso