Nel 2014 uscì nelle sale di tutto il mondo un horror che tentò in qualche modo di varcare la soglia del semplice linguaggio cinematografico, cercando di aggiornare un proprio punto di vista tramite lo sguardo social che ormai appartiene a gran parte delle persone, soprattutto dei giovani; quel film era Unfriended di Levan Gabriadze, una sorta di slasher visto interamente dallo schermo di un PC qualsiasi, la cui trama ruota attorno alla vicenda di un gruppo di ragazzi alle prese col fantasma di una loro compagna di scuola.
Nonostante l’idea non fosse proprio innovativa (l’anno precedente c’era già stato un titolo con lo stesso spunto, The Den), quel piccolo prodotto da un milione di dollari incassò sessanta volte tanto il proprio budget, facendo così riscontrare che una scommessa era stata vinta e che una nuova frontiera della narrazione cinematografica era stata raggiunta; ora, il medesimo produttore esecutivo di Unfriended, ovvero il regista russo Timur Bekmambetov de I guardiani della notte, tenta di bissare tale esperienza, portando in sala una nuova pellicola con gli stessi stilemi, ma stavolta di genere diverso, ovvero il thriller.
Esordio alla regia di tale Aneesh Chaganty, Searching è quindi un resoconto sul filo della tensione narrato al tempo dei social, visto esclusivamente dal monitor di un computer, in modo che lo spettatore trovi un tipo di coinvolgimento consono all’epoca che viviamo; la storia è quella del premuroso padre di famiglia di origini asiatiche David Kim (il John Cho di American Pie e American Trip), il quale, dopo aver perso la moglie a causa di una grave malattia, si prende cura in modo amorevole della figlia adolescente Margot (Michelle La), suo unico motivo di vita.
Insomma, un genitore pronto a tutto per la propria bambina, soprattutto quando quest’ultima improvvisamente sparisce nel nulla, senza rispondere alle chiamate del padre, sia al cellulare che in chat.
A questo punto David comincia una serie di indagini via web, avviando una sequela di ricerche on line, anche con l’aiuto della detective Vick (la Debra Messing di Will & Grace), la quale si occuperà personalmente del caso che durerà giorni e giorni.
Che fine ha fatto Margot? E’ sparita nel nulla oppure le è successo qualcosa di ben più grave?
Nonostante le risposte tardino ad arrivare, David non si darà mai facilmente per vinto e da solo scaverà a fondo pur di portare a galla la verità.
Ormai la frontiera del cinema è bella che stravolta, alla quale, dopo aver perso gran parte del suo pubblico a causa di Netflix ed affini, tocca anche vedere adesso i propri principi di narrazione cambiare di registro, offrendo uno spettacolo che si adatti alla visione del proprio schermo da PC; quindi Searching, titolo che appartiene ad una linea che intende stravolgere la settima arte, è un nuovo approccio che vorrebbe fare a meno di concetti come “gioco di montaggio” e “cura della fotografia”, pur di raccontare la propria trama di tensione.
Ma man mano che la visione avanza, l’opera di Chagan mostra tutti i suoi punti deboli in riguardo, gettando alle ortiche una storia intricata e trasformando ogni singolo dettaglio in un banale espediente che porta alla totale prevedibilità; prevedibilità negli intenti come anche nella soluzione finale, utilizzando un noioso punto di vista monocorde (lo schermo del computer appunto) poco consono a regalare momenti sorpresa e più portato a creare scenette involontariamente ridicole (come la lite tra David e suo fratello Peter, interpretato da Joseph Lee).
L’intenzione è quella di affidarsi soprattutto alla recitazione di attori come Cho e la Messing, per salvare l’intero svolgimento, ma Searching, oltre a risultare deboluccio alla base, con quella continua e ricercata morale sull’unione familiare ai tempi dei social, non nasconde nemmeno le sua primaria motivazione d’esistere; cioè essere un mega spot per tutti quei brand che ormai vivono in modo “pulsante” dentro e attorno internet (continui riferimenti a Facebook, Apple, I-Phone, Yahoo, e così via, non mancano ovviamente).
Mirko Lomuscio