Robin Hood – L’origine della leggenda: recensione

Errol Flynn (La leggenda di Robin Hood), Sean Connery (Robin e Marian), Patrick Bergin (Robin Hood – La leggenda), Kevin Costner (Robin Hood – Principe dei ladri), Russell Crowe (Robin Hood), più l’escursione ironica di Cary Elwes voluta da Mel Brooks (Robin Hood – Un uomo in calzamaglia) e quella animata sfornata dalla Disney nel 1973 (Robin Hood); sono le più famose interpretazioni cinematografiche del noto arciere di Sherwood, sir Robin di Loxley, che da nobiluomo divenne paladino dei meno abbienti, quindi arco alla mano rubò ai ricchi per dare ai poveri.

Dai nomi elencati, parecchi sono stati i punti di vista dedicati a questa figura mitica portata sul grande schermo, ed ognuno di loro lo faceva o con la voglia di narrare una sorta di fiaba o con quella di descrivere uno spaccato storico.

Oggi, 2018, un’altra pellicola si occupa di aggiornare la vicenda vissuta da questo eroe senza macchia, cercando di portare il tutto verso un tipo di spettacolo indirizzato ai più giovani e narrando le prime gesta del nostro protagonista, quindi con una star in ascesa a ricoprirne i suoi panni; lui è Taron Egerton e si è fatto notare recentemente nel dittico nato con Kingsman: secret service, chiamato a capeggiare la visione di questo Robin Hood – L’origine della leggenda che vede al timone di regia l’esordiente Otto Bathurst (ma ha alle spalle tanta tv), mentre nella macchina produttiva troviamo un nome di grande richiamo come l’attore Leonardo DiCaprio, qua finanziatore grazie alla sua Appian Way.

Il cast del film comprende anche la presenza di Jamie Foxx, Eve Hewson, Ben Mendelson, F.Murray Abraham e il Jamie Dornan reduce dal successo della trilogia scandalo partita con Cinquanta sfumature di grigio.

Tutto comincia quando il giovane aristocratico Robin di Loxley (Egerton), abitante di Nottingham, viene chiamato alle armi, costretto ad abbandonare l’amata Marian (Hewson) per dover così lasciare la sua terra natia e andare incontro ad un destino dietro a lunghe battaglie sanguinarie.

Un’avventura imprevista che lo porterà a far la conoscenza del misterioso John (Foxx), un uomo che ha riconosciuto nel ragazzo un animo nobile e un destino avverso, e che lo convince ben presto a prendere arco e frecce per difendere i poveri di Nottingham, torchiati dal volere del perfido Sceriffo (Mendelson), ed in più riconquistare il cuore di Marian, la quale credeva che Robin fosse morto in battaglia.

La leggenda del misterioso Hood è cominciata e non smetterà mai di riecheggiare nel tempo.

A Hollywood sembra che di lustro in lustro, o giù di lì, si tocca per forza aggiornare dei grandi classici d’avventura che possano adagiarsi alla narrativa adolescenziale del momento; basti pensare a quel I tre moschettieri voluto da Paul W.S. Anderson nel 2011, realizzato con un occhio totalmente (e gratuitamente) steampunk, e ora a rincarare la dose arriva il qui presente Robin Hood – L’origine della leggenda che, già dalle prime immagini, si premette di essere una versione fedele dei fatti narrati riguardo a questo ladro dal cuore d’oro.

Ma quello che viene dopo è tutt’altro che uno spaccato fedele all’epoca descritta (siamo ai tempi delle Crociate) e, oltre a mostrare un’Inghilterra fatta di cavalieri e castelli pervasa da look che non lesinano in giacchetti trapuntati, zuccotti e cappucci felpati (!), c’è una gran voglia da parte del regista Bathurst di andare fuori dagli schemi alzando il tiro con esplosioni e azioni oltre la norma medievale (balestre che sparano a raffica come fossero mitragliatori).

Va bene prendersi delle libertà e fare di un’opera d’avventura un qualcosa d’intrattenimento per giovani di oggi (si punta al fumettistico, con tanto di richiamo ad Arrow nel vestiario dell’eroe mascherato), ma così come è mostrato in questo Robin Hood – L’origine della leggenda è difficile lasciarsi trasportare con convinzione, anche perché, oltre ai problemi succitati, la scelta stessa degli interpreti non aiuta granché; da Egerton a Dornan si nota in loro la totale inadeguatezza nell’interpretare i propri ruoli, mentre Foxx è una presenza di contorno tanto per dare un peso (inutile) al tutto. Ma a risentirne di più è la Marian della Hewson, il cui volto è il meno virginale di tutta la storia cinematografica del noto arciere.

Ci si potrà giustificare dicendo che ai ragazzi d’oggi può piacere, ma di fronte all’eredità artistica lasciata da Robin Hood al cinema l’opera di Bathurst non ha proprio scuse su cui appoggiarsi.

Mirko Lomuscio