Enrico Franceschini è scrittore e giornalista. Ha ricoperto il ruolo di corrispondente per il quotidiano la Repubblica, nelle sedi di Londra, New York, Washington, Mosca e Gerusalemme.
La sua opera Vivere per scrivere è stata finalista al Premio Estense nel 2018. Tra i suoi libri: Londra Babilonia (Laterza, 2011), Vinca il peggiore. La più bella partita di basket della mia vita (66th and 2nd, 2017), L’uomo della Città Vecchia (Feltrinelli, 2017), Vivere per scrivere. 40 romanzieri si raccontano (Laterza, 2018), Bassa marea (Rizzoli, 2019), ecc..
Parlaci un po’ di te…
Sono un giornalista che gira il mondo da quarant’anni: come corrispondente estero del quotidiano la Repubblica ho vissuto a New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e Londra, dove continuo a risiedere. Strada facendo, ho scritto anche libri di narrativa e saggistica, venti per l’esattezza con l’ultimo appena pubblicato. Ho seguito tre elezioni presidenziali americane, la fine dell’Unione Sovietica, la seconda Intifada e la guerra del Golfo, gli anni di Blair e la Brexit. Ho intervistato il primo uomo andato sulla luna, l’uomo più veloce del mondo, perlomeno sui 100 metri, divi e dive del cinema, tanti scrittori, e sono andato a cena a Buckingham Palace, con un frac preso a noleggio, dalla regina Elisabetta. Ma la cosa che mi ha reso più felice è stato allenare la squadra di mio figlio in una finale di basket categoria allievi, vinta dopo tre tempi supplementari, in cui lui ha ricevuto un premio come miglior giocatore.
Cosa ti piace leggere?
Tutto. Giornali, ormai quasi esclusivamente digitali, e libri, quasi esclusivamente di carta. Saggi ma soprattutto romanzi, di autori italiani ma anche e soprattutto stranieri, classici, con i russi tra i miei preferiti, e contemporanei, tra i quali prediligo i gialli, con Simenon e Chandler in testa a tutti.
Qual è il tuo hobby?
Non ne ho. A parte correre, che non credo si qualifichi come hobby, ma che mi piace fare per 5km quasi tutti i giorni.
Parlaci del tuo libro. A chi lo consiglieresti e perché?
Devo parlarvi, se posso, di tre miei libri, usciti tutti nel 2021. A gennaio La fine dell’impero (Baldini+Castoldi) sul crollo dell’Urss, di cui fui testimone esattamente trent’anni fa. In luglio Ferragosto (Rizzoli), un giallo ambientato in Romagna, con per protagonista un giornalista in pensione che diventa detective per caso. In dicembre A Los Angeles con Bukowski (Perrone), una guida letteraria a La La Land sulle orme dello scrittore soprannominato il Nobel dei bassifondi. Consiglierei il primo a chi ama la Russia, perché solo studiando il passato si può capire come andrà a finire; il secondo a chi ha voglia di leggere un Amici miei alla marinara, come è stato definito, cioè un giallo-commedia su quattro inseparabili ex-compagni di scuola; e il terzo a chi vuole una risposta a questa domanda: dici Roma e pensi al Colosseo, dici Parigi e pensi alla Torre Eiffel, dici New York e pensi alla Statua della Libertà, dici Los Angeles e a cosa pensi? Motel, palme, spiagge, free-wyas, che altro c’è da vedere in una città che ha come simbolo il cartellone pubblicitario di un’agenzia immobiliare sulla collina di Hollywood? La risposta è che qualcosa da vedere c’è, e scoprendolo si scopre pure che Bukowski, a dispetto della reputazione di scrittore sporcaccione, era un grande poeta dell’animo umano.
Come sono nati i personaggi?
I personaggi del libro sulla Russia sono il frutto del mio lavoro a Mosca: mi ritrovai a intervistare Gorbaciov, per esempio, nel suo ultimo giorno al Cremlino subito dopo le dimissioni. I personaggi di Ferragosto sono ripresi dalla realtà: il protagonista è il mio alter ego e i suoi amici sono i miei veri amici. E il protagonista del libro su Los Angeles è Bukowski, che credo di essere stato uno dei pochissimi italiani a conoscere, forse l’unico a passare un pomeriggio a bere birra con lui nella sua casa di Los Angeles.
Ti è mai venuto il “blocco dello scrittore”?
Confesso di no. Se non mi fermassero, scriverei anche sui muri!
Quali sono le tue fonti di ispirazione?
I libri sono sempre ispirati almeno un po’ da altri libri: per scrivere bisogna leggere, e molto. Ma io sono anche un seguace della vecchia idea romantica di Hemingway, secondo cui bisogna scrivere delle cose che conosci, delle cose che hai vissuto, insomma delle tue esperienze.
Qual è il messaggio insito nel libro?
Mi limito in questo a parlare del messaggio del mio romanzo, perché i due saggi si limitano a raccontare una nazione e un periodo storico, una città e uno scrittore. Il messaggio di Ferragosto è che la vita, anche quando si tinge di noir, andrebbe affrontata se possibile con un sorriso, con un po’ di ironia. Che fa rima con malinconia, un pizzico della quale trova posto anche fra le pagine della mia storia.
Quanto c’è di te nei tuoi personaggi?
Come ho già accennato, c’è molto, non solo in Ferragosto, ma in tutti i romanzi che ho scritto, in cui si incontra spesso un giornalista. Scrivi di ciò che conosci, come ho già detto. E più in generale, da quando Flaubert disse ‘Madame Bovary sono io’, è chiaro che ogni romanzo contiene elementi autobiografici.
Progetti futuri?
Eccome. In gennaio uscirà un mio libro sull’Europa in una collana per ragazzi. In primavera un romanzo sullo sport e in estate un altro giallo sul giornalista-detective in Romagna, il terzo della serie. L’ho già detto che se non mi fermassero scriverei anche sui muri?
Eccome. In gennaio uscirà un mio libro sull’Europa in una collana per ragazzi. In primavera un romanzo sullo sport e in estate un altro giallo sul giornalista-detective in Romagna, il terzo della serie. L’ho già detto che se non mi fermassero scriverei anche sui muri?
Silvia Casini
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