Animali fantastici: I crimini di Grindelwald – recensione

Viviamo in un’epoca strana, un’epoca in cui, secondo un decreto non scritto dalla cultura popolare, ma ciò nondimeno altamente venerato, se non si fa il prequel di un’opera famosa, la suddetta opera risulterà incompleta.
L’eccesso di questo espediente è giustificato con il voler accontentare i fan spiegando fatti non totalmente approfonditi in principio. È stato fatto con i libri (Il Libro della Polvere, Wicked, La Famiglia Corleone), videogiochi (Kingdom Hearts: Birth by Sleep, Red Dead Redemption 2, Batman: Arkham Origins), con i film (X-Men: L’Inizio, La Cosa, gli indimenticabili Star Wars I-II-III), le serie TV (Better Call Saul, Star Trek: Discovery, Hannibal), dei quali una parte è fatta bene, un’altra anche meglio dell’originale, un’altra… non tanto.
Ebbene, col cuore piangente, Animali fantastici: I crimini di Grindelwald si trova in quest’ultimo insieme.


Film del 2018, seguito di Animali fantastici e dove trovarli, sceneggiato dalla stessa J.K. Rowling e diretto da David Yates, regista non solo del precedente lungometraggio, ma anche degli ultimi quattro (e anche peggiori) film della serie di Harry Potter.

Dopo la calorosa accoglienza del primo film di questa nuova serie, nonostante vi fossero anche lì diverse incongruenze, i fan di HP erano a dir poco eccitati da un seguito con un titolo simile. Finalmente si poteva dare spazio a quello che è riconosciuto come il più pericoloso mago oscuro mai vissuto, anche più di Voldemort, esplorando il suo passato, le sue vicissitudini e, come dice il titolo, i crimini da lui commessi che lo porteranno in un futuro allo scontro finale con Silente.

Peccato, tuttavia, che in esso la Rowling abbia, non si sa per quale motivo, deciso di demolire quasi metà della storia introdotta nei Doni della Morte, aggiungendo espedienti di trama inutili o che rischiano di far crollare il castello di carte da lei così ingegnosamente costruito nella saga fantasy più venduta al mondo.


Dopo essere sfuggito agli Auror di New York, Credence si reca a Parigi, dove spera di trovare le sue vere radici e capire chi sia realmente. Nel frattempo Newt Scamander, dopo aver rifiutato l’offerta del fratello Theseus di diventare Auror, viene convinto dal suo vecchio mentore, Albus Silente, di andare alla caccia di Grindelwald, sfuggito alla custiodia e diretto anch’egli a Parigi. Seppur riluttante, il magizoologo accetta e, aiutato dalle sue vecchie amicizie newyorkesi, si reca alla capitale francese, iniziando una ricerca che lo porterà a scoprire indicibili segreti.


Iniziamo col dire le cose positive di questo film, perché ce ne sono ben poche: in primis, Johnny Depp nel ruolo di Gellert Grindelwald e Jude Law nel ruolo di Albus Silente. Sono entrambi a dir poco perfetti per le loro parti. Depp riesce ad incarnare la subdolerìa e la controversia del personaggio, senza risultare eccessivamente gigione o sopra le righe come molti suoi personaggi; è calmo, riflessivo, sempre con un asso nella manica o con un discorso mellifluo capace di portare dalla sua parte qualunque mago in bilico tra bene e male, per il bene superiore.

Su Jude Law non si dovrebbe neanche parlare. Sembra quasi che abbia preso l’anima stessa del Silente cartaceo e l’abbia intrappolata nel suo sorriso. Dolce, saggio, convincente ma anche custode di segreti. E ovviamente, combattuto sull’affrontare o meno la persona che un tempo amava.

Oltre a ciò, seppur siano presenti in minima parte rispetto a e dove trovarli, vi sono comunque diversi animali fantastici, resi graficamente bene, e che stimolano la curiosità dello spettatore a ricercarli su siti o su almanacchi rowlinghiani (sempre se sia questo il termine adatto).

Ma questi pochi diademi non fanno risplendere la marea di sterco di drago che è questo film. La Rowling non riesce a ricordare il più evidente particolare da lei stessa descritto nei suoi libri, ed è strano, dopo tutto l’impegno che ha messo nella scrittura della saga del Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto. Una sceneggiatura dovrebbe essere più semplice, per una come lei.

Esempio di riscaldamento: molti si erano indignati già alla notizia che vi sarebbe stata una giovane McGonagall, o McGranitt, dir si voglia. Ma come può essere possibile, se ci troviamo nel 1927, e lei non nascerà prima del 1935? Forse è sua madre? Ma sua madre non ha mai insegnato a Hogwarts, almeno a detta della stessa Rowling.
Questo, tuttavia, è il meno peggio.

Il motivo per il quale Silente non vuole combattere Grindelwald sarebbe potuto essere semplicemente l’eccessiva tristezza e rabbia che il primo prova nei confronti dell’altro, la paura di poter fare qualcosa di cui potrebbe pentirsi, se si trovasse davanti alla bacchetta dell’uomo che un tempo amava.

Invece, dopo tutti quei bei discorsi sul potere dell’amore e sui sentimenti spiegati nella saga di Harry Potter, il tutto si riduce in un rituale che devasta totalmente la causa stessa per la quale Silente e Grindelwald si sono separati.

Perché compiere un incantesimo che impedisce all’uno di combattere per l’altro? È letteralmente sbagliato. Non si tratta di opinioni, se si segue la trama non ha il benché minimo senso.

Se non potevano combattere sin dal principio, come mai allora hanno letteralmente combattuto, uccidendo la sorella di Silente nel frattempo?

E se l’avessero fatto dopo quel combattimento, potreste dire? Appunto, perché avrebbero dovuto? È stato per via della morte di Ariana che i due si separano. Oltre a questo, verso la fine del film, uno dei personaggi esplode in una spiegazione sull’abero genealogico della sua famiglia, una fanfara di personaggi, tradimenti, matrimoni e altri fatti che dura ben dieci minuti.

Una perfetta distruzione del detto “show, don’t tell” su cui si basa la narrativa. Non siamo in Harry Potter, quello di Credence non è un mistero alla pari della profezia della Cooman. Sarebbero potuti bastare gli ultimi tre minuti per far capire l’essenziale e mostrare le reazioni dei personaggi.

A ciò collegato, è proprio su Credence che il film si concentra, non tanto su Grindelwald, che compie pochi crimini. Anzi, praticamente nessuno!

Perché non lo si è voluto chiamare, per esempio, Il sangue di Credence, oppure L’eredità Lestrange. Invece ci si è voluto concentrare su un personaggio che, alla fine del film, è il focus di un colpo di scena tra i peggiori mai visti in un prequel e, come quasi l’80% di questa pellicola, non riesce a incastrarsi col puzzle del mondo di Harry Potter. Parlando della regia, le tecniche di David Yates risultano troppo impacciate e confusionarie. Durante un dialogo, il campo-controcampo è alternato da primissimi piani, capaci di farci quasi vedere i peli del naso dei personaggi. Ciò sarebbe utile in situazioni angosciose, ma non quando due amici stanno tranquillamente conversando. Sembra quasi di vedere un film di Shyamalan, e non di quelli belli.

Ciò si unisce ad un combattimento iniziale e finale coreograficamente ben riusciti ma mal girati, con inquadrature angolari e un filtro fin troppo scuro, sicuramente per non far notare la finzione degli effetti speciali (tale tecnica sta venendo sempre più abusata ultimamente). Tra espedienti di trama inutili, spiegazioni sugli incantesimi inventati di sana pianta, reset di gran parte della lore della saga, I crimini di Grindelwald Riesce a fare quasi peggio del Principe Mezzosangue. Si salvano solo le interpretazioni di Depp e Law. E sì, anche i nuovi animali fantastici.


Si consiglia la visione solo ai non fan dei libri, almeno loro non vedranno il mondo che tanto conoscono e amano venire distrutto davanti ai loro occhi. Per tutti gli altri… preparatevi a farvi obliviare.
Per il bene superiore.

 

Andrea De Venuto

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