Una volta regista capace di raccontare storie fantastiche con occhio davvero impareggiabile, realizzando capisaldi come la trilogia di Ritorno al futuro e il classico Chi ha incastrato Roger Rabbit, Robert Zemeckis da un po’ di tempo ormai ha deciso di asservire la sua fantasia a favore di alcune storie che hanno intenzione di annidarsi nella realtà odierna, tra fatti realmente accaduti (The walk, sul funambolo Philippe Petit) e drammi condensati di giochi col destino (il toccante Flight, lo spy bellico Allied – Un’ombra nascosta), senza però rinunciare all’ausilio di corposi effetti speciali utilizzati nel contesto della trama; ora la sua ispirazione si lascia guidare dalla storia di un personaggio realmente esistente, Mark Hogancamp, un uomo che, dopo aver subito un forte trauma, si è chiuso in casa realizzando delle pose fotografiche con dei pupazzi, i quali lottano tra di loro una guerra nell’immaginaria cittadina di Marwencol, titolo ominimo del documentario datato 2010 a lui dedicato.
Un contesto che deve aver fatto scattare qualcosa nella mente di Zemeckis e che ora quest’ultimo sente di dover omaggiare con Benvenuti a Marwen, un racconto a metà tra realtà e fantasia che ha per protagonista, nei panni del suddetto Hogancamp, la star del cinema comico Steve Carell, qua alle prese con un ruolo più impegnativo del solito.
Assorto nel mondo da lui immaginato, Mark (Carell) si chiude nel suo piccolo microcosmo facendo avventurare il soldato Hogie (sempre Carell, ma in versione pupazzo CGI) in una serie di rocambolesche missioni contro il nemico nazista.
Ad aiutarlo ci sono le abitanti di Marwen, delle bambole mozzafiato armate fino ai denti, da non sottovalutare quando c’è da lanciarsi nell’avventura più scapestrata.
Una volta però fuori da questo mondo immaginario, Mark deve fare i conti col mondo reale, scontrandosi con eventi e contesti che dovrebbero metterlo faccia a faccia con un dramma personale, una tragedia che gli ha cambiato per sempre la vita e che il nostro protagonista non ha alcuna intenzione di affrontare.
Isolarsi nell’immaginaria Marwen lo aiuterà sicuramente a trovare il giusto coraggio, come anche portarlo incontro a un cambiamento inevitabile.
Percorso intrapreso da Zemeckis con tutto l’impegno possibile, cercando di miscelare un determinato discorso sociale con un’estetica da favola moderna, Benvenuti a Marwen è, per l’autore premio Oscar di Forrest Gump, un’ulteriore conferma di come gli riesca bene dirigere situazioni che richiedono l’ausilio di effetti CGI senza però schiacciare la storia principale; impagabile è il modo in cui riesce a ricreare il mondo immaginato da Holgencamp, reso da un Carell volenteroso, con queste marionette viventi che animano maggiormente il contesto qua descritto.
Questo è il maggior pregio della pellicola; per il resto, quando si tratta di fare i conti col mondo reale, ecco che alcuni pezzi si perdono, regalando un melodramma intriso di facile retorica (la sottotrama con la vicina di casa Nicol interpretata da Leslie Mann) e messaggi, ben voluti, sull’accettazione del diverso un tot al minuto, senza però dire nulla più di altre pellicole analoghe per fantasia e creatività (basti pensare che la co-sceneggiatrice Caroline Thompson è la medesima di Edward mani di forbice).
Di buono c’è che Zemeckis fa sua questa faccenda che coinvolge Holgencamp, ne tira su una pellicola singolare e azzarda a qualche autocitazione divertente (la DeLorean fatta di LEGO con cui Hogie dovrebbe viaggiare nel tempo), senza però rendersi innovativo e ispirato come una volta sapeva fare, anzi, qua si stabilizza su un canovaccio melodrammatico che alla fine la tira un po’ per le lunghe e chiude le danze in modo basilare, senza guizzi che colpiscono nel segno.
Non un prodotto da perdere Benvenuti a Marwen, anzi, solo che ormai il Zemeckis di una volta sembra difficile da ritrovare; il bambino che è in lui è cresciuto ed ora le favole che racconta fanno parte di un mondo totalmente adulto, senza però aver dato finora un vero capolavoro come ai vecchi tempi.
Mirko Lomuscio