Chi ben ricorda, nella maledizione legata all’esistenza della serie dedicata al Batman di Christopher Nolan non vi è solo la sciagurata disgrazia della prematura scomparsa dell’attore Heath Ledger, morto poco prima che uscì nelle sale Il cavaliere oscuro, ma anche quella strage avvenuta il 20 luglio del 2012 ad Aurora , in Colorado, dove un ragazzo, tale James Eagan Holmes, entrò armato fino ai denti dentro ad una sala cinematografica durante l’anteprima di mezzanotte de Il cavaliere oscuro – Il ritorno; il giovane sparò contro la folla uccidendo ben dodici persone e ferendone una settantina.
Un evento tragico che ancora oggi scatena l’interesse di diverse persone, cercando di scoprire cosa sia veramente accaduto alle spalle di quella mattanza; è il regista Tim Sutton a fare mente locale in riguardo, realizzando per l’occasione una sorta di docu-fiction descrittiva delle ore precedenti a quella strage, scrutando nelle vite di chi ne è stato protagonista e chi l’artefice.
Quindi con questo Dark Night la macchina da presa filma le vite dei giovani adolescenti di Aurora, presi con la loro vuota esistenza fatta anche di fascinazione verso le armi e la violenza, ed il che fa di loro delle vittime di una routine che ben presto imploderà in qualcosa di tragico.
Tra fiction e realtà, evitando ricostruzioni romanzate fin troppo artificiose e lontane dalla verità oggettiva, il nostro Sutton prende la situazione in mano e decide di raccontare questa triste vicenda tutta americana sfruttando appieno i silenzi che circondano le persone coinvolte, un modo per poter ricreare quella mancata comunicabilità che sta alla base di ogni evento tragico.
Non fosse però che questa licenza narrativa sia stata abusata già in altre occasioni e da altri autori più blasonati, come Gus Van Sant con il suo Elephant (film Palma d’oro ispirato agli eventi tragici di Columbine), allora potremmo parlare di questo Dark Night come di un lungometraggio originale e ispirato, nonostante la forza trainante non è proprio alla base del tutto.
Sutton fa quel che può per trasformare la sua opera in qualcosa che va dal documentaristico alla fiction, si affida ad un montaggio lento e secco allo stesso tempo, con in più l’arguzia di utilizzare il dialogo al minimo indispensabile, cercando di far una certa luce su determinati gesti, quelli che rendono al meglio il carattere delle persone.
Una licenza narrativa che però sortisce i suoi frutti di noia e che, alla lunga, dà come l’idea di non essere così approfondita, lasciata a sé per via di troppo autocompiacimento autoriale, un neo di non poco conto per gli esiti di Dark Night.
L’opera di Sutton non vuole proprio raccontare le cose scontate di questa tragedia, guarda tra le righe e ritiene fondamentale quei gesti che consideriamo insignificanti, ma lo fa rendendo il tutto come un enorme vuoto pneumatico a cui assistere per almeno ottantacinque minuti; a livello cinematografico potrebbe essere un pregio, come soprattutto – anzi probabilmente – un enorme difetto.
Mirko Lomuscio