I sognatori, quelli che annusano l’inchiostro sulle pagine e leggono con i piedi per terra e la testa tra le nuvole, vedono i libri come mezzo di diffusione della felicità.
E se spogliamo il libro di questo alone evanescente e misterioso, cosa rimane?
Il contenuto, certo.
Ma cosa si nasconde dietro e tutt’intorno alla costruzione fisica e mediatica di un prodotto che, una volta terminato, diventa a tutti gli effetti un prodotto commerciale?
Che già… per arrivarci, bisogna attraversare il magico mondo dell’editoria.
E per magico, intendo dire che se ti distrai un attimo, può arrivare un “Expelliarmus” a tradimento e rimani così… disarmato, ecco. È la parola giusta.
Nascono editori come fiori per fronteggiare la presenza sempre più ingombrante di nuovi scrittori. Ora il mondo ne è zeppo. Ben venga, forse. Prima domanda, trita e ritrita: e i lettori? Mi piace pensare che qualcuno, mimetizzato, esista ancora.
Seconda domanda: dov’è finita la caparbietà nel lottare, come che so io, una J.K. Rowling che si è vista rifiutare il suo capolavoro da ben OTTO case editrici prima di poter finalmente regalare al mondo intero Harry Potter? Dov’è finita la competizione sana, il mettersi in gioco e quella voglia di emergere per un merito NON autoriconosciuto, NON salatamente pagato, e valorizzato, invece, da chi di dovere?
Mi faccio queste domande, perché io nell’editoria, che mi affascina e mi attrae, ci ho messo appena un piede e se mi guardo intorno vedo nubi, e se guardo oltre questo mare pieno di squali non riesco a cogliere nitido l’orizzonte.
Però, però.
C’è anche l’amore.
E a proposito di questo, ho voluto parlare in maniera diretta con chi di amore ne scrive, con chi, forse proprio per amore, prende una strada inaspettata, che aggiunge domande alle domande.
E allora, non ci resta che leggere le risposte, tra le righe dell’intervista allo scrittore Diego Galdino.
Abbiamo avuto il piacere di conoscere Diego Galdino, lo scorso anno, alla terza edizione della Fiera del Libro di Iglesias, dove, davanti alla vetrina di un bar, non a caso, ha presentato in anteprima nazionale il suo romanzo, edito da Sperling & Kupfler: L’ultimo caffè della sera, sequel de Il primo caffè del mattino (Sperling & Kupfler, Milano 2013).
Diego, barista romano e scrittore che parla d’amore, considerato il Nicholas Sparks italiano e che ama leggere Jane Austen e Rosamunde Pilcher.
Ci vuoi raccontare come nasce la tua passione per la lettura, prima di tutto, e per la scrittura poi?
Io dico sempre che leggere è la cosa migliore che possa fare un essere umano, dopo fare l’amore. Ho iniziato a scrivere romanzi molto tardi, anche se da bambino scrivevo delle storie di fantascienza. Affascinato da cartoni animati come Goldrake o Mazinga Z, ricordo che la signora Maria, uno dei personaggi de Il primo caffè del mattino, mi cuciva insieme i fogli per farli diventare dei piccoli libri. Mi dispiace tantissimo che siano andati persi. Si può dire che sono diventato lo scrittore di oggi per merito – o colpa – di una ragazza adorabile che a sua volta adorava Rosamunde Pilcher. Una scrittrice inglese che di storie d’amore se ne intendeva parecchio. Un giorno lei mi mise in mano un libro e mi disse: “Tieni, questo è il mio romanzo preferito. Lo so, forse è un genere che piace più alle donne, ma sono certa che lo apprezzerai, conoscendo il tuo animo sensibile”. Il titolo del romanzo era Ritorno a casa e la ragazza aveva pienamente ragione. Quel libro mi conquistò a tal punto che nelle settimane a seguire lessi l’opera omnia dell’autrice. Il mio preferito era I cercatori di conchiglie. Scoprii che il sogno più grande di questa ragazza di cui ero perdutamente innamorato era vedere di persona i posti meravigliosi in cui la Pilcher ambientava le sue storie. Ma questo non era possibile perché un grave problema fisico le impediva gli spostamenti lunghi. Così, senza pensarci due volte, le proposi: “Andrò io per te, e i miei occhi saranno i tuoi. Farò un sacco di foto e poi te le farò vedere”.Qualche giorno più tardi partii alla volta di Londra. Con la benedizione della famiglia e la promessa di una camicia di forza al mio ritorno. Fu il viaggio più folle della mia vita e ancora oggi, quando ci ripenso, stento a credere di averlo fatto davvero. Due ore di aereo, sei ore di treno attraverso la Cornovaglia; un’ora di corriera per raggiungere Penzance, una delle ultime cittadine d’Inghilterra, e le mitiche scogliere di Land’s End. Decine di foto al mare, al cielo, alle verdi scogliere, al muschio sulle rocce; al vento, al tramonto, per poi all’alba del giorno dopo riprendere il treno; fare il viaggio a ritroso insieme ai pendolari di tutti i santi d’Inghilterra che andavano a lavorare a Londra. Un giorno soltanto, ma uno di quei giorni che ti cambiano la vita. Tornato a Roma, lasciai come promesso i miei occhi, i miei ricordi, le mie emozioni a quella ragazza. Forse le avrei lasciato anche il mio cuore, se lei non si fosse trasferita con la famiglia in un’altra città a causa dei suoi problemi di salute. Non c’incontrammo mai più, ma era lei che mi aveva ispirato quel viaggio. In fin dei conti tutto ciò che letterariamente mi è successo in seguito si può ricondurre alla scintilla che lei aveva acceso in me. La voglia di scrivere una storia d’amore che a differenza della nostra finisse bene.
Quindi è questo che ti spinge a scrivere di un tema universale e complicato come l’amore?
A me piace scrivere romanzi d’amore, perché scrivo quello che sento, quello che il mio cuore ha bisogno di esternare, io amo l’amore e tutti i suoi derivati.
Veniamo al tuo ultimo romanzo, Bosco bianco. Cosa ci puoi raccontare in merito, per stuzzicare la nostra curiosità senza toglierci il gusto di leggere le tue parole?
Bosco bianco è stato scritto tanti anni fa , in un periodo particolare della mia vita, avevo appena divorziato e c’era la paura di non poter più vivere le mie figlie nella quotidianità, e il senso di colpa per aver tolto loro una famiglia unita. Ho proiettato queste mie paure ed emozioni nel protagonista di questo romanzo, padre divorziato con due figlie a cui è legatissimo, a cui cerca di non far mancare niente, ma ha sempre questa sensazione di colpevolezza nei loro confronti. In realtà è un romanzo che parla dell’amore in tutte le sue forme. L’amore per i figli, l’amore per una donna, l’amore per un posto che è appunto la magnifica tenuta di Bosco Bianco che si affaccia sulla costiera amalfitana, e infine l’amore supremo quello che va oltre tutti i pregiudizi. Quando scrivi con il cuore escono fuori storie come Bosco bianco.
Come detto, la tua scrittura parla d’amore, di sentimenti profondi e reali. Niente a che vedere con il mondo in cui il libro naviga, come prodotto commerciale, nel mare dell’editoria, del marketing. Ti va di portarci dietro le quinte? Di raccontarci il tuo percorso e come mai, uno scrittore del tuo livello, conosciuto in tutto il territorio nazionale e tradotto in Germania, Austria, Svizzera, Polonia, Bulgaria, Serbia, Spagna e Sudamerica, abbia deciso di intraprendere questa imprevedibile strada nel mondo dell’editoria, che vede, comunque già, il successo di Bosco bianco, il tuo ultimo romanzo?
La scelta di autopubblicarmi è stata una scelta fatta con il cuore, perché con L’ultimo caffè della sera, si è conclusa la mia avventura editoriale col Gruppo Mondadori, e per pubblicare Bosco bianco con un editore di pari livello avrei dovuto aspettare la primavera del 2020. Ma io ho pensato che questa storia meritasse di essere letta il prima possibile, così ho deciso di autopubblicarmi, una scelta che per un autore come me poteva sembrare una scelta folle, però ho creduto in questa storia e ho voluto affidarmi completamente a lei, credo nei miei amici lettori che mi seguono e stimano da tanti anni e sono certo che mi aiuteranno a sopperire alla mancanza di un editore di livello facendo in modo che Bosco bianco non finisca nel cimitero dei libri dimenticati. Capisco che questo romanzo è un romanzo a cui voler bene, ancora di più degli altri scritti fin’ora, quando leggo le recensioni positive e mi commuovo. Bosco bianco è un libro che nasce solo, forse una scommessa persa in partenza, un libro, fragile, vulnerabile, senza santi in paradiso, ma proprio per questo un libro da proteggere e aiutare, da far crescere in tranquillità, un libro che come gli altri merita di essere felice e di vivere la sua vita al meglio delle sue possibilità. Mai come per questo romanzo mi sento un genitore e un genitore non lascia mai da solo un figlio e così farò io, quindi se ameranno Bosco bianco ameranno anche me e viceversa, così è e così dev’essere e così sarà.
Grazie per la sincerità! Volevo concludere con due domande. Una è: pur tenendo l’occhio a questo presente, che progetti hai per il tempo che verrà?
E la seconda domanda è questa: qual è il segreto per fare il caffè più buono del mondo?
Devo confessare di essere già al lavoro su una nuova storia dal titolo Una storia straordinaria sperando che come dicono i latini nomen omen… In più a fine giugno volerò in Bulgaria per un tour di presentazioni nelle più importanti città del paese e tra qualche mese L’ultimo caffè della sera uscirà in tutti i paesi di lingua tedesca e in tutti i paesi di lingua spagnola… e in autunno potrebbero esserci importanti novità per quanto riguarda la trasposizione cinematografica de Il primo caffè del mattino. Per fare il caffè più buono del mondo ci vuole un’ottima miscela, la giusta macinatura, una macchina del caffè efficiente, una tazzina bollente e l’amore di chi lo prepara, perché se ci metti l’amore viene tutto più buono…
Erika Carta
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