Dodici minuti di pioggia: recensione

E se la struggente suggestione di Resta anche domani di Gayle Forman e la poetica di Your name di Makoto Shinkai si fondessero insieme? Cosa potrebbe uscirne fuori? Semplice: Dodici minuti di pioggia di Manuela Kalì.

Si tratta di un romanzo affascinante che narra le vicende di Alice, una trentenne che vive sola con la sua gatta Blanca e che progetta cover di libri per un’agenzia editoriale di Milano. Alice non si è mai innamorata veramente, forse perché l’abbandono di suo padre quando aveva soltanto sei anni ancora le brucia l’anima, tant’è che non è mai riuscita a fidarsi completamente degli uomini e ormai è da oltre vent’anni che convive con quest’assenza ingombrante.

Ma un mattino qualunque, mentre sta andando al lavoro in scooter, assiste a un incidente: c’è un uomo a terra coperto da un telo bianco, da cui spunta solo una mano, grande, giovane e bella. Accanto al corpo, Alice nota un oggetto luccicante, che d’istinto raccoglie e porta via con sé: è una bussola antica su cui sono incise tre lettere, l’inizio di un nome (AND).

Nei giorni successivi, l’immagine di quel lenzuolo bianco non le dà tregua, come se insieme allo sconosciuto fosse morta anche una parte di lei, mentre la bussola, dalla tasca, occhieggia come un talismano e la fa sentire protetta, a casa. Ecco perché ogni mattina percorrerà, come stregata, la strada dell’incidente; quell’incrocio magnetico, che volenti o nolenti la chiama a sé. Poi, un giorno, proprio nello stesso punto, sbanderà con lo scooter e cadrà a terra colpendo la testa.

Subito dopo l’impatto, si ritroverà in un universo rarefatto e sospeso, in uno spazio bianco fuori dal tempo, popolato di voci prive di corpo e di volti sconosciuti, ma familiari, una terra che obbedisce a leggi ignote e straordinarie. Ed è proprio nella dimensione onirica del coma, il territorio dei Senza Nome, che incontrerà Andrea, il proprietario della bussola, l’uomo che ha visto morire, e con lui, per la prima volta, il suo cuore si accenderà come una fiamma viva.

Così, se all’inizio la sua vita è senza dubbio ordinaria, alla fine tutto cambierà nella sua esistenza, ma soprattutto nel suo cuore forato, perché si ritroverà catapultata in una dimensione strana. Sarà costretta a oscillare tra il mondo dei vivi e dei morti e i suoi battiti andranno a mille, perché scoprirà l’amore e incontrerà la sua (impossibile) anima gemella.

E questo senso di galleggiamento, di sospensione è reso benissimo da Manuela Kalì, che è bravissima a rendere vividi i sentimenti, le pause, la pena e il legame tra il nostro mondo e l’aldilà.

Il suo è un romanzo che spezza il fiato, perché racconta un amore capace di superare le leggi dello spazio e del tempo. Parla di spirito, di limbo, di perdono, di sofferenza, di crescita e di maturità. Scuote l’animo. È un viaggio di pura emozione, come certi libri spiazzanti e coinvolgenti che basano l’intera narrazione sulle percezioni e sulle sensazioni fisiche e astrali che rendono l’impasto corposo, avvincente e persino magico (ne sono un chiaro esempio Tutto in una notte edito da Libro/mania e Quando c’era Marnie di Joan G. Robinson).

In definitiva, è un libro che fa riflettere e che restituisce al lettore la fragilità della vita, ma anche la sua potenza. È uno stargate per ogni dove, ma soprattutto una chiave di lettura intrigante, toccante, ipnotica e dolcemente malinconica, della sensibilità umana.

 

Silvia Casini

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