Netflix ci regala un altro film valido e per nulla scontato. Diretto da Paul Urkijo Alijo e prodotto da Alex de la Iglesia, si ispira alla fiaba europea Il fabbro e il diavolo”, dove un fabbro fa un patto con un diavolo per avere qualche potere o ricchezza, ma si rivela più furbo del suo “usuraio infernale”, imprigionandolo e giocando al suo stesso gioco. Il film ovviamente si tinge di atmosfere più cupe, con tanto di riferimenti storici e critiche sociali, ma andiamo con ordine.
Nel 1833, a dieci anni dalla fine della prima guerra carlista, un funzionario del governo giunge nel piccolo villaggio di Avala per indagare su una misteriosa fucina e sul suo altrettanto enigmatico proprietario, un anziano fabbro che vive da tempo in totale solitudine nel bel mezzo della foresta, in seguito alla tragica scomparsa della moglie.
Secondo il commissario, all’interno della dimora sarebbero nascoste ingenti quantità d’oro e questo fa gola a gran parte della popolazione locale, che già prima non vedeva di buon occhio l’imperscrutabile artigiano, sul quale circolano inquietanti dicerie. La piccola Usue, orfanella adottata dal prete locale dopo il tragico suicidio della madre quando era ancora un infante, si addentra proprio nella zona proibita alla ricerca della sua bambola, finendo per scoprire un incredibile segreto sull’identità del fabbro e del suo reale scopo di quella esistenza isolata.
Iniziamo con dire che questo film riporta ai fasti del primo Hellboy, Il labirinto del fauno o del film Legend, un mix di ambientazioni horror e situazioni volutamente grottesche. Ci sono svariati riferimenti al folklore popolare, con la forma dei diavoli (esseri metà uomini, metà capre, con forconi ecc), la condanna dei suicidi all’inferno, ma anche la conta di oggetti piccoli e numerosi. Secondo alcune leggende, infatti, se si lascia oggetti piccoli o sottili in grande quantità, la creatura malefica sarà costretta a contarli. Nel film sono i ceci, ma ad esempio nella cultura napoletana, le Janare, streghe malefiche, sono costrette a contare i fili di paglia delle scope.
Questo dona un tocco anche antropologico al film, facendoci scoprire le vecchie tradizioni perdute.
Parlando dei personaggi, ognuno è ben caratterizzato. Ironicamente, paiono più umani il fabbro, la bambina orfana ed il diavolo rispetto a tutti gli abitanti del villaggio, immersi nell’avidità, ignoranza e superstizione. Come la fiaba La bella e la bestia, il film ci invita ad andare oltre le apparenze. Il diavolo, in particolare, rompe lo stereotipo del mostro di puro male, rivelando lati piuttosto divertenti e interessanti.
Usue è l’innocenza fatta a persona: emarginata per via della morte della made, la piccola non accetta che sia andata all’inferno per un gesto disperato. Memorabile la scena di quando chiede al prete se i suicidi fossero condannati e lui, senza il minimo tatto, le risponde di sì, spezzando l’animo della piccola.
Il fabbro, invece, è un bruto dal cuore gentile. Un uomo che si è messo nei guai da solo, facendo un patto con un diavolo affinché tornasse sano e salvo dalla guerra. Peccato che abbia perso la moglie e la sanità mentale. Nonostante sia ritratto da tutti come un pazzo assassino, il fabbro è un personaggio amorevole, che si prende cura di Usue, dopo averla trovata ferita nel bosco. Il suo animo altruistico arriva a tal punto da voler andare perfino all’inferno, pur di salvare un suo caro.
In conclusione, Errementari- Il fabbro e il diavolo è un’affascinante retelling della fiaba, capace con semplicità di affascinare adulti e ragazzi. Ognuno di noi è un po’ un diavolo, ricordatevi solo di portarvi dietro una campanella benedetta ed un sacchetto di ceci. Non si sa mai in che forma possa tentarci il male.
Debora Parisi
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