Jeans bassi, Iphone in mano per scrivere costantemente sul gruppo di whatsapp creato per la maturità, ascoltando musica con l’auricolare, tatuaggi che spuntano dalle magliette, sorrisi forzati e la paura di cadere acerbi.
Jeans a sigaretta che per chiuderli ci sdraiavamo sul letto, trattenendo il fiato, infilando un cordino per tirare su la cerniera, maglietta Fruit of the Loom con maniche rivoltate tre volte come le indossava Miguel Bose, zainetto Invicta sulle spalle, “IL” Castiglione Mariotti in mano se dovevamo superare la prova di latino e la paura di cadere acerbi.
Sono passati 35 anni tra la mia maturità e quella dei ragazzi che la stanno affrontando in questi giorni.
La paura non è cambiata.
Ogni anno di scuola che terminavo, mi avvicinavo a quel 1 Luglio 1982. Vedevo la muraglia cinese e il monte Everest venirmi incontro a schiacciare la mia adolescenza e ad aprirmi la porta dell’età adulta.
Ero sola in quel banco a un solo posto in una grande stanza con soffitti alti con adulti che passavano a vedere se stavo copiando.
Di nuovo seduta da sola su una sedia scheggiata davanti a una serie di banchi da scuola messi a ferro di cavallo dove dietro c’erano insegnanti di cui non avevo mai visto il volto, con accenti misti che ti fanno domande e il tuo sguardo va al tuo insegnante di italiano che ti conosce da tanti anni, in cerca di aiuto.
Il cambio di materia agli orali da latino a filosofia mi aveva fatto sprofondare negli abissi senza neanche riuscire a vedere le basi dell’Everest.
Mentre Cabrini, Rossi e Scirea dribblavano il pallone nella semifinale della Coppa del Mondo in Spagna, io, seduta sul terrazzo piangendo e mangiando i Ringo, dribblavo tra i pensieri di Schopenhauer, Kierkegaard e Hegel cercando di farli entrare nella rete della mia mente.
L’esultazione di Tardelli con le mani in alto e la sua corsa nel campo con il telecronista che ripeteva il suo nome, è stata la stessa, quando ho visto i miei risultati.
Buon esame ragazzi!
Testo Roberta La Placa