Ieri si sono aperte le danze per la 38a edizione del Fantafestival di Roma, svoltosi al cinema Savoy tra nuovi incontri e ulteriori visioni di film horror e fantastici, sempre amati dai fan affezionati.
Le proiezioni hanno visto la partecipazione di due nomi importanti per il cinema di genere italiano, due personaggi che rispondono al nome di Ruggero Deodato, indimenticato mr. Cannibal holocaust, e di Andrea Marfori, autore del cult trash anni ’80 Il bosco 1.
Il primo ha presentato ed introdotto la visione del suo ultimo film, una pellicola malsana e allucinogena del 2016 ispirata ai fatti dell’omicidio Meredith Kercher; Ballad in blood è la storia di tre ragazzi alle prese col mattino dopo i festeggiamenti di Halloween, rinchiusi nel loro appartamento a capire cosa sia successo la notte prima, causa un’enorme sbornia causata da alcool e droghe pesanti.
Quindi Duke (Edward Williams), Jacopo (Gabriele Rossi) e Lenka (Carlotta Morelli) si ritrovano in un faccia a faccia continuo e pericoloso per scoprire cosa e chi abbia ucciso la loro amica Elizabeth (Noemi Smorra), ritrovata senza vita e con la gola tagliata sopra il lucernario del loro appartamento.
Ne conseguirà un continuo allucinante scontro emotivo e sensuale, che porterà alla sconcertante verità e all’altrettanto sconvolgente soluzione finale.
Che Deodato sia un autore dai toni forti lo abbiamo sempre saputo, ed anche questa volta non si smentisce regalando ai suoi fan un lungometraggio pregno di nudi femminili e maschili, più un vedibile senso di anarchia immorale, fotogramma per fotogramma.
Certo, tale approccio porta ad una visione a suo modo insensata e strutturalmente slegata, tutto giustificato dal sottotesto allucinogeno, ma quello che se ne deduce è il livello gratuito del tutto che, tra una trovata narrativa e l’altra (anche il coinvolgimento di un Ernesto Mahieux in versione bieca, intento a minacciare i protagonisti), si ritrova in mezzo ad una serie di orge insensate, con descrizione di una gioventù allo sbando senza alcun limite da prendere in considerazione.
A suo modo Deodato con Ballad in blood ha ritrovato una sua degna ispirazione (oltre ad un’apparizione simpatica ci regala anche una citazione musicale dal suo La casa sperduta nel parco), è l’ illogicità del tutto che frega l’intera visione del film, gratuito e provocatorio fino alla vergogna.
Pura exploitation e senso per il trash più sincero è quello che invece ha poi proposto il regista Andrea Marfori, lui che nel lontano 1988 ci regalò una chicca horror come Il bosco 1, quindi per il trentennio della sua opera simbolo ha portato al festival romano la sua ultima produzione russa, dopo aver presenziato anche lo scorso anno col sovietico zombie movie Ataka sovetskikh zombi; con Quest of fear il nostro regista senza frontiere, e dai budget bassissimi, ci porta nei meandri di un incubo a base di sette sataniche e clown assassini, con un insieme di protagonisti alle prese con un gioco perverso e sanguinario, sullo sfondo di un patto di sangue che ingloberà i destini di ognuno di loro.
E’ Halloween ed il giorno del suo compleanno un ragazzo riceve per regalo una tavola Ouija, la quale lo spinge insieme ad un suo gruppo di amici di avventurarsi al cospetto di un alcune di persone dedite alle messe nere; conseguirà ovviamente una continua fuga verso la salvezza, tra mattanze e sventramenti, verso una verità che risparmierà ben pochi.
Spudorato Marfori che, nonostante gli anni e le decadi passate, imperterrito ripropone quel suo cinema cheap che tanto gli riesce congeniale, ignorando ogni logica narrativa e cinematografica che aiuti a realizzare un’opera compiuta come si deve; quindi, con alla base una fotografia e un montaggio a livelli anarchici inimmaginabili, Quest of fear è quel lungometraggio dozzinale che gli esperti del settore horror trash ben conoscono, senza far conto alla povertà dei mezzi e della recitazione.
Tra Saw – L’enigmista e una certa poetica del Rob Zombie di 31, il film è un’ora e cinquanta che non passa facilmente, con pur forti ambizioni narrative se vogliamo (l’aspetto corale del tutto è un punto anche interessante); il film di Marfori ci riporta agli anni ’90 più underground e spazzatura dell’epoca splatter che fu, proprio a vederne il bicchiere mezzo pieno.
Mirko Lomuscio