Alla quarta giornata del 38° Fantafestival è arrivato il momento di fare i conti con il sociale e il documentario, passando in visione un paio di opere che cercano mettere un piede nella contemporaneità sociale tramite una trama horror o parlando di uno degli autori di genere più noti del nostro panorama, Michele Soavi.
Il primo titolo proiettato in serata è stato il particolare Go home – A casa loro, storia di zombie mischiata all’attualità razzista di oggi diretta dalla Luna Gualano di Psychomentary, la quale ha introdotto la visione in sala; un’opera che guarda al sociale più estremo, come già fece il compianto maestro George A. Romero parlando di morti viventi e che promette quindi, non solo di spaventare, ma anche di far pensare parecchio.
La storia comincia fuori dalle mura di un centro d’accoglienza sito nella periferia romana, dove c’è un gruppo di neo-fascisti intenti a manifestare contro quei clandestini che abitano dentro lo stabile, ritenuti una minaccia per il futuro della loro società, cosiddetta, civile.
Ma d’improvviso le persone si comportano in modo strano, divenendo degli esseri dagli occhi bianchi e affamati si carne umana; in poche parole sono divenuti degli zombi.
L’unico sopravvissuto del gruppo è il giovane Enrico (Antonio Bannò), il quale trova la salvezza chiudendosi proprio dentro lo stabile che ospita quegli stranieri e cercando un modo per fuggire da quella apocalisse; il tutto mentre si confronta con gli altri clandestini che sono dentro al palazzo, tra diffidenza e diversità di razza.
Autrice underground del nostro panorama, la Gualano si aggancia all’attualità dei nostri anni, fatti di ideologie salviniane e continui scontri razziali tra le strade del nostro paese, e utilizza uno zombie movie per poter fare il punto, narrando questa trama a suo modo corale, ambientata in un unico ambiente.
Presentato già alla Festa del Cinema di Roma, Go home – A casa loro dimostra di avere spina dorsale nel voler urlare una sua idea, mischiando horror e drammaturgia, confrontando così bianchi/neri o razzismo/sopravvivenza seguendo un canovaccio tipico di queste storie di assedio dai morti viventi.
Gli si può rimproverare giusto una certa piattezza narrativa, come anche un distacco totale sui suoi personaggi, nella parte centrale, che non mostra una degna delineazione dei suoi protagonisti, che siano i clandestini (africani e arabi) o l’italiano fascista; l’opera della Gualano in sostanza gioca le sue carte con un’apertura (affidata ad un orecchiabile pezzo de I muro del canto) e una chiusura ad effetto, regalando quel degno pugno sociale che il suo horror intende appioppare sin dall’inizio, ma se solo ci fosse stata più accortezza nella delineazione di ogni figura presente l’operazione sarebbe risultata più compiuta.
In seguito, alla presenza del regista Claudio Lattanzi (famoso il suo Killing birds – Raptors), è stato introdotto il documentario Aquarius Visionarius – Il cinema di Michele Soavi, un reperto che attraversa la carriera del regista di Dellamorte Dellamore con interventi ed interviste a colleghi e conoscenti che ne hanno accompagnato la lunga carriera: Dario Argento, Massimo Antonello Geleng, Simon Boswell, Gianni Mammolotti, Pietro Valsecchi, Sergio Stivaletti, Michele Placido, questi sono i nomi che si alternano nel dichiarare la loro esperienza professionale col visionario Soavi, unico maestro contemporaneo del nostro cinema di genere e che ancora oggi continua la sua strada in tale direzione (imminente l’uscita del suo nuovo film La befana vien di notte).
Lattanzi, che ne è stato assistente in un paio di occasioni, gli delinea un documentario su misura, esauriente e comprensivo, non seguendo una vera e propria linearità gerarchica (si parla prima de La chiesa e poi di Deliria, in ultimo della sua esperienza su Le avventure del Barone di Munchausen di Terry Gilliam) ma che trova una sua dimensione formativa con interventi interessanti di Soavi stesso, il quale mette a nudo la sua esistenza per il bene di questo Aquarius Visionarius.
Mirko Lomuscio