Ghost Stories in blu-ray: recensione

Non sono rari i casi in cui uno spettacolo teatrale possa essere trasposto in chiave cinematografica, ancor più rari sono i casi in cui tale trasposizione voglia riportare ai suoi antichi (in mancanza di un termine migliore) splendori un genere di cui ultimamente si vedono ormai ben poche perle.


L’intento è stato raggiunto, seppur in parte, da Ghost Stories, film del 2017 diretto da Jeremy Dyson e Andy Nyman, basato, come prima citato, sulla loro opera teatrale.

Lo scettico e razionale psicologo Philip Goodman riceve una proposta dall’un tempo suo idolo Cameron, che come lui credeva che i fenomeni paranormali fossero spiegabili con fatti scientifici. Philip dovrà indagare su tre casi che Cameron non è riuscito a risolvere, e che lo hanno portato alla convinzione che il soprannaturale esiste.
Inizia così il viaggio fisico e mentale dello psicologo, che attraverso le testimonianze delle persone interrogate, cerca di comprendere cosa abbia portato loro a, secondo lui, immaginarsi tali fenomeni. Ma man mano che si va avanti con la storia, Philip perde la sua razionalità che lo ha sempre guidato nei suoi studi, cerca di dare risposte concrete ma esse si rivoltano su di lui e dentro di lui, fino alla scoperta di un macabro segreto.


Torna finalmente la narrativa horror, in un susseguirsi di capitoli legati tra loro da un filo ectoplasmatico del quale non potremmo mai immaginare la fine. Non si lavora sulle situazioni, ma sulla storia in sé, come si dovrebbe realmente fare in un racconto. Oltretutto, con una premessa molto semplice: tre persone che raccontano storie di paura, prova che anche dalle cose semplici possono nascere dei gioielli. Più si va avanti con la storia, più la tensione sale, e nel climax finale il cuore non smette di battere.
Tuttavia il cuore salta più volte, eccome. Ed è questo il peggior difetto del film, forse unico: cerca di ravvivare il genere horror, ma lo rende datato allo steso tempo, inserendo più e più volte il tropo più conosciuto di tale genere al giorno d’oggi: il jumpscare. Ci si aspetterebbe un jumpscare in questo film anche se si scopre che, nel piatto del protagonista, sia rimasta una sola aletta di pollo. Lo scrittore e comico Jeremy Kaplowitz una volta scrisse “Horror movies with jump scares are like if a comedian went into the audience and tickled everyone. “Technically you laughed! I’m funny!”

 


Ma oltre a questo espediente, che può dare fastidio o meno, le scene di tensione, quando sono presenti, fanno sempre il loro effetto, grazie anche all’ottima regia e fotografia del film, fatta di inquadrature offuscate agli angoli, con lunghi e ansiosi silenzi.

Il film vale la pena di essere visto, sia per la storia, sia per gli effettivi momenti di tensione, sia per il finale, sia per, diciamolo, la performance estremamente inglese di Martin Freeman. Forse non sarà ricordato in futuro come un capolavoro del genere horror, ma è di certo una boccata d’aria fresca in un filone che oggigiorno crea ben poche storie interessanti.
Enfasi su STORIE.

 

Andrea De Venuto

© Riproduzione Riservata