Gynophobia, il cui nome significa letteralmente “paura delle donne”, è il secondo capitolo di una trilogia, Shadows Peaks è il primo e Witch Hunt è il terzo. Prodotto da Andrii Vintsevych Games, è un videogioco principalmente sparatutto, con poche atmosfere horror.
La trama parla di Mark, un giovane adulto terrorizzato da ragni e donne. Il motivo pare legato alla sua infanzia, in particolare alle figure genitoriali. La storia si alterna tra la vita da recluso di Mark, e le sue avventure videoludiche, un mezzo che usa per esorcizzare le paure.
Analizziamo prima i punti forti del gioco: la simbologia. I ragni sono da sempre tra le creature che più ci terrorizzano, assieme ai serpenti. Non è un caso se vengano associati alle donne: in natura, molte specie di ragno presentano un dimorfismo sessuale, ovvero i maschi sono generalmente più piccoli delle femmine. Durante l’accoppiamento, alcune specie ricorrono al cannibalismo. La donna, quindi, diventa metafora di predatrice sessuale che con la sua tela imprigiona la vittima malcapitata, fino a divorarla. Riflettendoci bene, un ragazzo cresciuto da una madre problematica è stato letteralmente un bambino tra le grinfie di una feroce creatura. Non c’è da stupirsi se svilupperebbe un odio o addirittura la fobia per il sesso opposto.
Purtroppo possiamo solo ipotizzare, dato che vengono indicati pochi indizi sul passato di Mark.
Ragno è anche il padre, piuttosto omofobo, che ha scambiato la paura delle donne del figlio per omosessualità. Da questo si può intuire che le cose a casa di Mark non vadano bene.
Interessante sono le reazioni di Mark davanti ai ragni o sotto effetto di farmaci: lo vedremo tremare oppure, quando prende le medicine, vedremo la sua percezione della realtà cambiare.
Ora passiamo ai lati negativi: non è un horror. Semplicemente è uno sparatutto in prima persona. Non ha niente che possa suscitare il disagio o il terrore. Quindi lo sconsiglierei agli amanti del genere o a chi cerca videogiochi di qualità. Potrebbe essere apprezzato per chi ama gli sparatutto e i videogiochi trash.
Debora Parisi
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