Ho letto i primi romanzi di Massimo Carlotto con una certa inavvertenza. Presi in prestito in biblioteca, perché ricordavo vagamente un collegamento tra il suo nome, la Sardegna e una vicenda giudiziaria di cui si parlava ai tempi dell’Università. Ne avevo apprezzato lo stile asciutto, essenziale, ma le sue storie mi sono sembrate brutali. Un po’ troppo ciniche per i miei gusti.
Poi ho letto Il fuggiasco, e ho capito molte cose.
Il fuggiasco (E/0 Edizioni) è una storia vera. La sua storia. Assurda. Stranger than fiction, come il film con Will Ferrell.
Un processo indiziario, la condanna, la latitanza, la fuga in giro per il mondo, costretto a entrare in rete con altri latitanti come lui – non tutti innocenti come lui – a cambiare paese, casa e identità con una frequenza impressionante. Solo, immerso nell’ansia continua di essere scoperto, la salute gravemente compromessa da una bulimia nervosa indotta da una brutta vicenda con la polizia quando era poco più che maggiorenne.
Mentre leggevo mi ripetevo che solo una persona fuori dal normale avrebbe potuto sopportare una prova tanto impegnativa. Che forse io mi sarei arresa, e avrei piuttosto accettato una carcerazione ingiusta. Anche lui alla fine stava per cedere. Nel modo metodico che distingue il suo carattere, aveva programmato la sua fine. Ma le cose sono andate diversamente.
Massimo Carlotto è un uomo libero perché ha avuto la grazia dal Presidente della Repubblica (Oscar Luigi Scalfaro n.d.r.. qualcosa di buono l’ha fatta anche lui), ma non ha avuto giustizia. Non il riscatto che avrebbe meritato. L’amarezza di scoprire anzi che il mandato di cattura internazionale che lo ha costretto a otto anni di folli corse da un continente all’altro, non era mai stato spiccato, dimenticato sul fondo di un cassetto di qualche procura. Certo, l’opinione pubblica, lettori, autori, intellettuali si sono battuti per lui. Ma la soddisfazione è incompleta. La sua fiducia nello stato e nelle istituzioni, ovviamente – e giustamente – svanita per sempre.
In modo quasi naturale, ha messo la sua scrittura al servizio della denuncia sociale e civile.
Se di cinismo si può parlare, credo sia più che giustificato.
Eleonora Carta
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