Vi rivelerò una sacrosanta verità, state ad ascoltarmi. Quando si scrive, non è mai detto quello che salta fuori. Prendete me, per esempio. Anche se ho solo nove anni, ho già vinto un concorso importante. Va bene, direte adesso, è quello della tua scuola. Tu ti dai troppe arie! Ma che c’entra?
Sempre di concorso si tratta.
È che una mattina, la maestra ci ha chiesto di descrivere un evento che ha cambiato per sempre la nostra vita. Quando poi sono tornato a casa, la mamma ha detto che ci aveva assegnato un tema un po’ troppo pretenzioso, che io non so cosa vuol dire, ma se lo dice lei ci credo.
Così, vi dicevo, quando s’intende scrivere un racconto, capita che poi si scriva tutt’altro. Io avrei voluto parlare di quando sono andato in treno coi nonni e ho avuto paura, perché sfrecciavamo veloci e quando s’incrociavano altri treni, i vetri tremavano e facevano un fracasso terribile. E anche dopo, al mare, non era mica poi tanto bello, perché i nonni la sera andavano a letto presto e il bagno al largo non lo potevo fare. Mi hanno anche messo una stupida ciambella che mi faceva sembrare un bambino piccolo, ma loro hanno paura di tutto, così mi tengono stretto come fossi in prigione. Io la prigione non so bene cosa sia, ma mi sa che è un posto dove non si può più uscire. Alla mamma non l’ho detto, di questo mio malcontento; così avevo paura che lo venisse a scoprire leggendo il mio tema.
Allora ho parlato di altro. Di quella volta che dal balcone di casa ho visto la giostra coi cavalli, ma sopra non c’era nessuno. Girava, ma sembrava che la piazza fosse vuota, e mi sono sentito triste.
Così sono andato a dare da mangiare al mio pesce rosso, ma poco, perché la mamma dice sempre che i pesci non conoscono la sazietà, e quindi mangiano fino a scoppiare.
Quando poi sono ritornato al balcone, una bambina era salita su uno dei cavalli e volteggiava felice. Rideva e ad ogni giro salutava una donna infagottata, che l’aspettava vicino ai biglietti. La signora aveva la faccia tutta rossa, come se avesse corso. E io ho immaginato che magari aveva fatto una corsa dal lavoro, per vedere la sua bambina andare sulla giostra. Il cavallo che lei aveva scelto era bianco, e girava, girava… con quella musica che mettono sempre alle fiere.
La bambina aveva un vestito azzurro, e ho pensato che mi era simpatica, perché aveva dato un senso a quella giostra. Mi spiego meglio, e la maestra mi ha detto che il concorso l’ho vinto per questo: intendo dire che se una giostra è fatta perché ci salgano i bambini, è bello quando poi loro ci salgono davvero. È triste invece quando la vedi vuota e abbandonata, magari perché è considerata una cosa obsoleta. Quest’ultima frase l’ho sentita dire dal nonno, ma voi non lo riferite a nessuno, che alla maestra ha fatto un grande effetto.
Mio nonno è sempre lì che dice che la gioventù di oggi ha rovinato tutto, e che passiamo il tempo a giocare ai videogiochi, oppure che ci scriviamo su Faissbukk, ma poi quando ci incontriamo per la strada neanche ci salutiamo. Per questo io non ho videogiochi e nemmeno un cellulare, anche se la mamma dice che sono ancora troppo piccolo. E poi, a scuola ci vado col nonno, quindi quando mai rimango da solo?
Va bene così, dai. Mi accontento. Anche se qualche volta mi piacerebbe avere dei giochi nuovi. Ma la mamma lavora tanto, e queste cose costano. Quindi preferisco passare il tempo a guardare i cartoni animati, a casa dei nonni. Certo, se noi due non fossimo soli, le cose forse andrebbero in modo diverso. La nonna glielo dice sempre, alla mia mamma, quando alla sera lei viene a prendermi. Io fingo di guardare la tv, ma le sento gridare. E a volte la mamma piange, e le urla in faccia che non è colpa di nessuno se lui non ci ha voluto. Non mi piace la nonna, quando le dice quelle cose. Io, per esempio, non chiedo mai niente, perché non voglio che la mamma sia triste.
Ritornando a noi, lo vedete? Ero partito con l’idea di parlarvi del mio concorso, e invece vi ho raccontato la storia della mia vita. Succede, quando si scrive. Capita, quando si pensa.
L’essere umano è proprio fatto in modo strano, come quando uno ti parla e tu non riesci a pensare ad altro che ti scappa la pipì. Oppure che poi andrai a casa, e che la mamma ti ha fatto le polpette col sugo.
Quest’ultimo pensiero è mio, ma non ditelo al nonno. Lui crede sempre che tutto quello che dico sia farina del suo sacco. È così che dice. Farina del mio sacco. E poi si batte sulla tempia, lasciandomi intendere di essere un grande pensatore.
Be’, lasciamoglielo credere. E comunque, da qualcuno avrò pur preso, non vi pare?
Cristina Biolcati per Upside Down Magazine
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