Il robot selvaggio: recensione

Traendo ispirazione da un libro per ragazzi scritto da Peter Brown, Dreamworks Animation porta sui grandi schermi Il robot selvaggio, una storia dalle forti ambizioni emotive che guarda al mondo dei più piccoli come anche a quello della fantascienza, utilizzando per protagonista un androide dalla mentalità e dalle fattezze femminili, costruito per una missione specifica ma poi finito casualmente in un luogo desolato come un’isola deserta.

Lei è Roz ed in tale contesto naturalista si pone un unico obiettivo, il quale sarà indirizzato ad aiutare gli abitanti del luogo, ovvero gli animali selvatici della zona, che siano di ogni varia specie; tra loro c’è la volpe Fink e, soprattutto, un piccolo cucciolo d’oca rimasto orfano, a cui Roz insegnerà ogni cosa, soprattutto a volare.

 


Da piccolo pennuto qual’era, l’infante oca diverrà adulto e dovrà di conseguenza seguire un proprio percorso esistenziale che lo porti lungo una lontana migrazione; Roz, nonostante sia soddisfatta dei propri risultati, sente però che qualcosa non sia portato in conclusione, e la sua missione sembra non essere finita, anche perché ben presto anche i suoi creatori intendono farsi vivi sulla sua strada.

Venendo dal cinema d’animazione (Lilo & Stitch, Dragon Trainer, I Croods) come anche da quello live action (Il richiamo della foresta interpretato da Harrison Ford), il regista Chris Sanders mette mano alla sua opera Il robot selvaggio con fare abbastanza ispirato, nonostante il materiale d’inizio presenti degli elementi cari ad altro intrattenimento per ragazzi appartenuto a titoli come Il gigante di ferro e WALL-E.

E nonostante quest’ultime succitate opere, il film di Sanders mostra in fin dei conti un certo carattere, gestendo una serie di emozioni forti col giusto appeal e costruendo il rapporto madre/figlio tra l’automa Roz (che parecchio deve anche al Johnny 5 di Corto circuito) e la piccola oca in modo originale, con una certa calma e costruzione dei tempi giusti, cosicché lo spettatore possa essere preso per la gola nei modi e nei momenti adeguati alla storia.

Si può giusto rimproverare una certa costruzione narrativa che stenta a decollare in alcuni punti, mostrando dei falsi punti d’arrivo, come anche determinate parentesi poco sviluppate (il futuro in cui è ambientato è poco definito, umanamente parlando), seppur forse possano sembrare delle scelte artistiche ben definite da Sanders ma non del tutto complete per l’economia dei risultati.

Il robot selvaggio è comunque un titolo che campa di forti emozioni, sviluppato su cose magari già viste e su messaggi ecologici scontati, ma che riesce a farsi seguire per come riesce a delineare i suoi numerosi personaggi animaleschi e tiri le somme a visione conclusa, soddisfacendo appieno nelle sue intenzioni, sia artistiche che morali.

E per gli spettatori più piccoli, come anche per i più grandi, una visione di questo genere può andare più che bene, trovandosi di fronte ad un titolo che parla a loro con tutta la sincerità possibile di forti emozioni e di un’originale crescita esistenziale.

Mirko Lomuscio

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