Eccomi qua, ancora una volta nel fandom che tanto mi è caro: quello dedicato al film Ladyhawke.
Questa volta ho pensato di dar voce a un personaggio un po’ bistrattato, ma tanto importante all’interno del film: il vecchio monaco Imperius che è, nello stesso tempo, colui che contribuisce a gettare la maledizione sui due amanti, Navarre e Isabeau, ma è anche colui che suggerisce al Capitano Navarre e a Philippe, una possibile soluzione ad essa, con il riferimento al sogno fatto e all’eclissi.
Buona lettura!
Imperius spronava Abraham, ma il mulo, cocciuto com’era, non ne voleva sapere di muoversi.
Il vecchio Monaco però, sapeva di non aver tempo da perdere, e continuava a darsi dello sciocco per aver parlato, mentre cercava di capire che direzione potesse aver preso sua Grazia.
“Sono stato uno stupido, stupido e incauto. E tutto per colpa di quel boccale di vino in più…” Si stava rimproverando Imperius, borbottando tra sé e sé, mentre incitava il mulo a proseguire sul sentiero che portava fuori Aguillon, verso il bosco.
“Giuro su Nostro Signore che se riuscirò a fermare la follia di Sua Grazia, mai e poi mai le mie labbra toccheranno più un goccio di vino, nemmeno se fosse annacquato!” Disse a se stesso, troppo angosciato per la sorte che sarebbe spettata a quei due giovani amanti, il Capitano Navarre e la giovane contessa Isabeau, che tanto si erano raccomandati a lui e alla sua riservatezza in passato.
“Come ho potuto tradirli? Loro si fidavano di me. Avrei dovuto proteggerli. Ora sua Grazia li ucciderà…”.
Il monaco si passò distrattamente una manica della tunica sulla fronte per asciugarsi il sudore e, nello stesso tempo, allontanare certi pensieri.
L’effetto del vino stava svanendo ed egli si sentiva sì più lucido, ma anche molto più stanco e preoccupato. Di questo passo non li avrebbe mai raggiunti, egli conosceva i dintorni della città e del territorio, e sapeva per certo che il Capitano e la fanciulla in fuga, non avrebbero mai seguito la strada principale, anche perché in sella a Goliath, sarebbero stati facilmente riconoscibili.
Eppure, eppure aveva la dolorosa sensazione che non sarebbe arrivato in tempo, e che la vendetta di sua Grazia sarebbe stata terribile, ma doveva comunque provarci.
Imperius era consapevole che, a causa della propria incauta confessione al suo superiore, aveva causato tutto questo, dimostrandosi per quello che era davvero: un prete debole e sciocco, dedito al vizio e ai piaceri del vino.
Lui doveva rimediare, o non avrebbe più potuto guardarsi in faccia altrimenti. Gli tornarono in mente le parole melliflue e spaventosamente calme, che gli aveva rivolto sua Grazia, appena dopo aver appreso della relazione segreta tra il suo Capitano delle Guardie, Etienne Navarre e la bellissima, quanto inarrivabile fanciulla, Isabeau D’Anjou.
Quella donna era sempre stata un’ossessione per quell’uomo, signore di Aguillon, dal giorno in cui era arrivata in città, a cavallo di un docile morello, con sé aveva nient’altro che se stessa e, sul suo bellissimo volto, spiccava, per contrasto, uno sguardo spento e rassegnato. Iridi azzurre come il cielo di primavera, ma velata da una strana, ma tangibile malinconia.
“È così è lui l’uomo, il Capitano Navarre… è lui la causa di tutto. Il motivo per cui lei mi ha rifiutato, restituendomi le lettere senza aprirle, i doni senza nemmeno degnarli di uno sguardo”. Aveva soppesato Sua Grazia, con un tono apparentemente pacato, mentre nei suoi occhi di ghiaccio, già ribolliva una silenziosa tempesta.
Ad Imperius non sfuggì il lampo d’ira trattenuta che attraversò gli occhi azzurri del suo superiore.
Lo conosceva da troppi anni, per non saper che quei suoi modi così tranquilli, in realtà celavano un’indole violenta e vendicativa.
“Mio Signore non abbiatene così a male. Forse… forse ho frainteso le parole della fanciulla… sono un uomo semplice in fondo… cosa volete che ne sappia dell’amore io…” cercò di ritrattare Imperius, ma ormai era troppo tardi.
La mente del Vescovo stava già elaborando una possibile punizione esemplare per quel tradimento. Egli non tollerava che il suo uomo migliore, il più fidato fino a quel momento, il Capitano Navarre, avesse osato fargli quello sgarbo proprio sotto il naso. Proprio lui che sapeva quanto Sua Grazia ci tenesse ad entrare nelle simpatie della giovane, quanto riservata e schiva, Isabeau D’Anjou.
“Non crucciarti vecchio mio. Tu hai fatto solo il tuo dovere. Hai servito bene me, e Nostro Signore…” lo rassicurò il Vescovo, ma le sue parole assunsero un’aura inquietante, quando Imperius fu costretto ad ascoltare il resto.
“Non temere, voglio solo congratularmi con loro, augurandogli ogni bene e prosperità…” continuò il religioso, stringendo con forza le dita ingioiellate sulla spalla di Imperius, come ad impedirgli di andarsene.
“Ora dimmi, mio fedele Imperius, dove si trovano il Capitano e la contessa D’Anjou? Mandali a chiamare, voglio far loro avere la mia benedizione…”
Imperius ebbe quasi timore di dire la verità, poiché sapeva che quella conversazione pacata, quella domanda apparentemente legittima, rappresentava solo la quiete prima della tempesta, ma non poteva mentire, Sua Grazia avrebbe fiutato la menzogna anche solo guardandolo dritto negli occhi.
“Hanno lasciato Aguillon, Sua Grazia…” la voce del monaco assunse una tonalità piatta, quasi indifferente, come se stesse cercando, lui stesso, di negare ciò che stava succedendo.
“Bene, allora è arrivato il momento per medi mettermi in viaggio”
Detto ciò, il Vescovo strinse con forza il proprio bastone decorato, fino a farsi diventare le nocche delle dita pallide per la tensione, poi la congedò, ma badò bene di farsi udire dal Monaco, mentre dal chiostro dettava con voce perentoria gli ordini a Marquet, una delle sue guardie, dicendo che voleva partire immediatamente per Gabroche, un piccolo e insignificante borgo che si trovava a un qualche ora di strada, a cavallo, da Aguillon.
Imperius, di nuovo, si riscosse da quel ricordo asciugandosi un rivolo di sudore che gli colava dalla fronte. Cercava invano di combattere contro la morsa dolorosa della consapevolezza, e del rimorso, per aver messo in pericolo i due fuggiaschi.
Nei boschi tra Aguillon e Gabroche, era ormai scesa la notte, e il cielo nuvoloso e senza l’ombra di una stella, non era d’aiuto per ritrovare l’orientamento.
Imperius sperò, con tutto se stesso, di aver seguito le giuste tracce sul terreno, quelle che, teoricamente, avrebbero dovuto condurlo a Goliath, a Navarre e Isabeau. Pregò nostro Signore di giungere prima del Vescovo, anche perché lo sguardo che egli aveva assunto, subito prima di congedarlo, non lasciava spazio a dubbi: se, disgraziatamente, Sua Grazia li avesse trovati, la punizione che si sarebbe abbattuta su di loro, sarebbe stata impietosa e terribile.
Il Vescovo, nonostante l’apparente, e indubbia, religiosità della propria posizione all’interno dell’ordine ecclesiastico, non era altro che un uomo vendicativo, il cui animo oscuro era votato al comando e alla perfidia. Voci sempre più consistenti circolavano poi sulla sua condotta, tutt’altro che accettabile. Si diceva che Sua Grazia si servisse delle arti oscure, proibite, che avesse stretto Patti col Diavolo in persona e che lo avesse fatto senza remore, soltanto per mantenere il proprio dominio tirannico, adottando dei modi coercitivi molto discutibili.
Persino Roma stessa, ed il Papa in persona, temevano il potere di sua Grazia. A nulla era servito cacciarlo, bandirlo. confinarlo ad Aguillon, egli aveva ordito in segreto la propria vendetta e alimentato, per anni, il proprio rancore.
Non era per nulla saggio inimicarsi una persona del genere.
Si può dire, con ragionevole certezza, che ognuno di noi è una luna, ha un lato oscuro che non mostra mai a nessuno (1), ma questo non era valido per Sua Grazia. Egli nonostante il bianco e l’oro che indossava con disinvoltura, ogni giorno, e i suoi occhi celeste purissimo, era una delle persone più nere e oscure, che Imperius avesse mai conosciuto, quasi che la luce del sole stesso avesse paura a posarsi sulla sua austera figura.
Ad un tratto i pensieri del vecchio frate furono interrotti da un urlo raccapricciante. Un grido inconfondibile, ma ancora distante: era la voce di Isabeau.
Imperius spronò il mulo con il cuore che pareva scoppiargli nel petto da quanto si era messo a galoppare.
Quando giunse sul posto, constatò con orrore che ormai era troppo tardi.
Tutto si era compiuto.
In quel momento persino i pallidi raggi della luna, appena sbucata tra quelle nuvole dense, parevano aver timore di illuminare quella scena straziante e spaventosa.
La fanciulla piangeva sommessamente, e il pesante mantello che una volta era appartenuto a Navarre, non riusciva a celarne il tremito alle mani. Impossibile lenire con quella stoffa di lana consunta la morsa di gelido terrore che le attanagliava il cuore della giovane contessa D’Anjou, di fronte a quel terribile castigo che si era abbattuto su di loro. Ogni cosa le appariva sfocata, le mancò l’aria nei polmoni e, nonostante si sentisse persa e confusa, non riusciva a staccare gli occhi di dosso dal lupo nero che le uggiolava al fianco. Quello stesso lupo, stentava lei stessa a crederci, che un attimo prima aveva le fattezze del suo amore, il Capitano Etienne Navarre.
Imperius rimase nascosto nella boscaglia, impietrito, sconvolto da ciò a cui aveva avuto la sventura di assistere.
Un maleficio in piena regola, evocato proprio da Sua Grazia, senza remora alcuna. L’anello di rubino al dito dell’uomo aveva preso vita, le potenze infernali avevano proferito e il desiderio di vendetta e di collera del vescovo era stato esaudito.
L’orribile maledizione condannava Isabeau e Navarre a restare divisi per sempre: lei falco di giorno, lui lupo di notte, in una condizione di semivita umana, dove non gli era più concessa nemmeno la possibilità di sfiorarsi, se non per un breve istante al sorgere e al calar del sole, ma neanche (2)…
“…Finché il sole sorgerà e tramonterà… finché ci saranno il giorno e la notte… per tutto il tempo che sarà loro concesso di vivere…”
Questi erano stati gli stralci delle parole che il vecchio monaco era riuscito a udire, prime di vedere Navarre trasformarsi in un lupo, suo malgrado, sotto lo sguardo trionfante e soddisfatto di Sua Grazia, il Vescovo di Aguillon.
Isabeau, però, dopo lo smarrimento iniziale, capì che doveva fuggire da lì, e subito, se non voler finire lei stessa tra le mani di quel demonio travestito da santo.
Ella lo guardò intensamente, lanciandogli addosso tutto l’odio e il disprezzo di cui era capace.
“Voi, voi… siete solo un mostro! Un giorno pagherete per tutto il male che avete causato…” Gli disse lei, con le lacrime che le rigavano il volto cesellato e fine, come fosse stato ricavato dalla più preziosa delle porcellane.
Il Vescovo, per tutta risposta, la degnò di un’occhiata distaccata, insidiosa, senza proferir parola. La osservava dall’alto della propria convinzione di superiorità, restando, per giunta, in un silenzio tagliente e pericoloso.
Isabeau, con l’ultimo sprazzo di coraggio e lucidità, spronò Goliath al galoppo. Lo stallone era terrorizzato dalla magia che ancora si sprigionava intorno a loro, avvolgendo gli alberi con minuscoli fili argentei, risalendo come vapore dalla terra umida, dissipandosi nell’aria come un veleno impalpabile. Seppur recalcitrante l’animale obbedì alla sua Signora e con uno scatto di nervi e muscoli, unito ad un poderoso colpo di zoccoli, si lanciò lontano. Subito dietro di loro correva anche il lupo nero, seguendo cavallo e dama senza perderli di vista un solo istante.
Imperius attese, credendo che Sua Grazia avrebbe inseguito la povera Isabeau, cosa che, stranamente, non fece. Il monaco aveva sufficientemente coraggio per tentare di fermarlo, se lo avesse fatto.
Quello che, invece, Sua Grazia fece, fu di ritornare da Marquet, la guardia che aveva lasciato indietro, per preservare il proprio oscuro segreto, intimando all’uomo il silenzio sull’intera faccenda, pena la morte.
“E la donna, Sua Grazia?…” Chiese il Cavaliere dai lineamenti duri e gli occhi scuri.
Marquet non era certo uno stolto, ma anzi, aveva già intuito dal principio il motivo di quell’inseguimento così serrato. Sua Grazia, infatti, non si muoveva mai da Aguillon se non per questioni di primaria importanza.
E non era un segreto per nessuno che il suo Signore avesse più di un debole per la contessa D’Anjou, perciò il sapere che lei era fuggita con un altro, non doveva avergli fatto certo piacere, anche se Marquet non capiva cosa potesse trovarci sua Grazia in una donna così algida è fredda.
“Non temere, mio fidato Marquet. Isabeau non sarà più un problema, d’ora in poi…” lo liquidò il Vescovo con sguardo assente.
“…e tu da questo preciso momento, sarai il mio nuovo Capitano delle Guardie. Non deludermi…” ordinò sua Grazia con voce severa, mentre invitavano entrambi i cavalli sulla strada del ritorno per Aguillon, come se nulla fosse accaduto.
“E poi che successe?” La voce di Philippe riscosse il vecchio dal torpore. Imperius non si era nemmeno accorto di essersi addormentato davanti al fuoco, ridotto a cedere e braci, proprio nel bel mezzo del racconto.
Aveva sognato di nuovo, un’altra volta l’incubo, così come il ricordo sempre vivido di quella notte maledetta, era tornato a fargli visita. Un tormento prepotente, inesorabile nella sua cruda realtà, da sopportare.
Il monaco si stropicciò gli occhi, mentre Philippe, solerte, si prodigò per riempirgli nuovamente il boccale di vino.
“Che cosa vuoi sapere, ragazzo?”
“Prima di addormentarti, vecchio, mi stavi raccontando la storia del Capitano Navarre e di Isabeau…” gli rammentò Philippe, deciso a scoprire tutta la verità.
“Sono stato io a tradirli… Come solo uno sciocco può fare. Quel giorno ero ubriaco e ho confessato tutto a Sua Grazia e, senza rendermi conto di quello che facevo, ho rivelato, a quel folle, del loro amore segreto…”
“Cosa c’entra Sua Grazia con tutto questo?” Chiese Philippe, anche se iniziava a capire, a collegare tutti i frammenti di quello strano mosaico.
“Quell’uomo è malvagio. Il suo amore per Isabeau l’ha reso folle”. Disse Imperius quasi con angoscia nella voce.
“Li ha maledetti, capisci? Stringendo un patto con il Diavolo stesso…” continuò Imperius, mentre il ladruncolo pendeva dalle sue labbra.
“…L’ululato del lupo che senti, non è altro che il grido di dolore di Navarre, mentre Isabeau, durante il giorno, è il bellissimo falco che hai portato qui…”.
Le parole di Imperius suonarono cariche di rassegnazione e di sensi di colpa.
“Sempre insieme, eternamente divisi…” sussurrò Philippe, volgendo lo sguardo alla luna, già alta nel cielo.
“Ho cercato di fermarlo, ma non ho potuto, se solo fossi stato più accorto…” Si tormentava Imperius.
“…Ti sei imbattuto in una tragica storia, Philippe Gaston e, che tu lo voglia o no, ora sei perduto in essa, come tutti noi…”.
Samanta Crespi
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Note al testo:
- (1) La frase è di Mark Twain.
- (2) Ho scelto di inserire spezzoni di frasi, citazioni, direttamente dal film “Ladyhawke”. Per differenziarle dal resto del testo, durante la lettura, ove sono presenti, le troverete in corsivo.