Inside out 2: recensione

Gradito ritorno Disney/Pixar incentrato sulle emozioni e tutte le conseguenze psicologiche del caso, Inside out 2 riprende il discorso da dove era rimasto il precedente film premio Oscar datato 2015 e diretto da Pete Docter, il quale in questa occasione riveste il solo ruolo di produttore esecutivo e sostituito dietro la macchina da presa dall’esordiente Kelsey Mann.

Quest’ultimo amplia le vedute del soggetto e l’ambientazione che la fa da padrona nel presente dittico, giostrando nuove conseguenze che l’adolescente Riley dovrà affrontare, dato che il liceo è ormai alle porte.

Qua la giovane, campionessa di hockey su ghiaccio per il suo istituto, entrerà a far parte di una nuova squadra e dovrà riuscire a tenere strette le vecchie amicizie, cercando di gestire adeguatamente i propri sentimenti ed emozioni.

Ed ecco che queste ultime entrano di nuovo in gioco, dato che Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura faranno di tutto per aiutarla, gestendo dentro la sua mente qualsiasi conseguenza dovuta a situazioni mai vissute e nuove conoscenze a scuola.

Ma ciò che questi non avevano previsto è l’arrivo della pubertà per la giovane Riley, la quale porterà con sé altre nuove emozioni che daranno filo da torcere a quelle che già abitavano nella testa della ragazzina; ecco quindi che Gioia e i suoi colleghi si vedono sostituiti e rimossi da Ansia, Invidia, Noia e Imbarazzo, elementi che popoleranno i sentimenti di Riley da questo nuovo corso d’età e che metteranno in pratica un piano per rendere la sua vita molto più deludente.

Ma questo Gioia non potrà mai permetterlo, ed insieme ai suoi fidati amici e colleghi cercherà di prendere la situazione in mano e riportare il giusto equilibrio nei sentimenti della loro ragazza.

Con un’attesa di ben nove anni, si ripresenta al cospetto del vasto pubblico uno dei prodotti Disney/Pixar che maggiormente ha saputo ben sfruttare il soggetto a propria disposizione, dato che già il primo Inside out era un film che divertiva per il suo principio di rendere facilmente fruibile la psicanalitica e di costruire nuovi mondi immaginari presenti nel nostro cervello; sfruttando l’avanzare dell’età della piccola antagonista del caso, ovvero l’adolescente Riley, il regista Mann riesce però a costruire una nuova sequela di trovate narrative degne di essere raccontate in questo contesto.

Le idee quindi si arricchiscono ed inoltre, trovata alquanto vincente, Inside out 2 inserisce nuovi personaggi che fanno sempre parte dell’universo delle emozioni, rendendo l’affiancamento di Ansia, Invidia, Noia e Imbarazzo una carta vincente da far spalleggiare ai già affermati Gioia, Rabbia, Tristezza, Disgusto e Paura.

Loro, tutti insieme appassionatamente, si rincorrono e si combattono in una storia pregna di intelligenza e voglia di divertire, sfoggiando tutto il dicibile emotivo che la pubertà porta con sé (l’arrivo del sarcasmo, il rischio di perdere le vecchie amicizie) e che il buon Mann riesce a costruire di fotogramma in fotogramma, inventando nuovi parametri immaginifici della mente umana.

Inside out 2 non perde un colpo rispetto al capitolo precedente, certo strutturalmente sono pur sempre simili e ormai il gioco delle emozioni recondite nel nostro cervello è ben più che mostrato, però c’è da dire che come costruzione ironica riesce sempre a sbalordire, giocando veramente con i sentimenti degli spettatori e riportando universalmente agli occhi degli stessi un valore importante come l’essere sempre se stessi, sapendo gestire adeguatamente emozioni e sentimenti.

Lasciando magari un piccolo spazio a quella che poi risulterà essere un piccolo salto nella nostalgia, altra emozione che in questo sequel avrà una sua, esilarante, minor presenza.

Mirko Lomuscio