A dispetto del titolo, non stiamo parlando di un racconto di quel macabro genio di Lovecraft, ma di qualcosa molto meno cupo, seppur non meno piacevole.
La città senza nome è una trilogia di graphic novel scritta dalla vincitrice del premio Will Eisner Comic Industry e di tre Web Cartoon’s Choice, Faith Erin Hicks (Demonology 101, The Adventures of Superhero Girl), pubblicata da Edizioni BD.
Come si evince dal titolo, la storia si sviluppa in una città priva di un nome, perché conquistata più volte da più popoli a causa della sua posizione strategica in una terra fantastorica ispirata alla Cina del XIII secolo.
Il protagonista di tale storia, un ragazzo di nome Kaidu, figlio di uno dei generali del popolo dei Dao, che ora hanno il comando del luogo in questione, è appena entrato nella città senza nome e viene addestrato per diventare un valoroso guerriero come suo padre, nonostante egli preferisca la compagnia dei libri a quella delle armi.
Un giorno, mentre passeggia per le vie della città, ha un rocambolesco incontro con una giovane ladruncola chiamata Ratto, appartenente ad una delle etnie sottomesse ai Dao. Kaidu inizia con lei un’improbabile amicizia, seppur i due ragazzi appartengano a popoli diversi, da decenni nemici l’uno con l’altro. Ciò potrebbe simboleggiare una piccola scintilla di speranza e di unione tra Dao e tutte le genti sotto il loro giogo.
Non è una sorpresa capire che il fulcro di tutta la storia è una denuncia al razzismo e alle atrocità che può portare una guerra per il mero controllo di zone o risorse importanti.
Parliamo delle cose più belle della trilogia, prima di tutto i personaggi: ognuno è ben caratterizzato, sin dalla prima volta che appare sulla tavola capiamo che tipo di personaggio sarà, come potrebbe comportarsi e che tipo di relazione potrebbe avere con gli altri. Che siano i protagonisti o i personaggi secondari, ognuno ha le proprie idee e i propri pensieri sulla situazione della città e su come essa potrebbe peggiorare o migliorare.
Il rapporto che c’è tra Kaido e Ratto, tra Kaido e suo padre, tra suo padre e il Generale di tutte le lame, tra il Generale di tutte le lame e suo figlio, ciascuno ha un modo di relazionarsi con l’altro, e ciò è stato gestito in maniera astuta dalla Hicks.
Nota dolente, tuttavia, sono gli amici di Ratto: hanno un gran potenziale per dare alla luce aspetti che potrebbero collegarsi alla tolleranza e al rispetto reciproco, eppure sembrano messi lì solo per aggiungere altre sottotrame che, purtroppo, non vanno da nessuna parte.
Tali
personaggi, così come l’ambiente che li circonda, sono realizzati tramite
disegni semplici, ma non tanto da risultare eccessivamente rozzi; semplicemente
con il giusto tratto da mostrare i dettagli facciali durante un’emozione o i
tratti di un’abitazione.
Durante le scene d’azione, la gabbia mantiene un dinamismo costante, con frame
energigi ed inquadrati registicamente.
Come stile ricorda molto i fumetti di Avatar:
La Leggenda di Aang, dei quali, paradossalmente, Hicks sta sceneggiando
anche il prossimo in arrivo, Imbalance.
Il punto debole di questa trilogia è, tristemente, la trama. Non che sia poco originale o piena di cliché, seppur ultimamente nella narrativa “fantastica” il tema del razzismo e dell’amicizia tra un ragazzo “nerd” e una ragazza estroversa siano sempre più usati, la storia in sé è gestita bene, ma il vero twist che dà inizio ad essa appare a metà del secondo volume! Fino a quel momento ci si concentra sui personaggi, la loro caratterizzazione e le loro connessioni, senza che appaia un espediente capace di dare inizio a qualcosa.
Alla fine del primo volume sembra stia per mettersi in atto un complotto, ma la faccenda si risolve nel giro di un capitolo.
Se i personaggi si fossero relazionati nel bel mezzo del tumulto, sarebbe stato molto interessante vedere come avrebbero portato avanti i loro rapporti.
Ciò nonostante, La città senza nome rimane un fumetto interessante e molto maturo, un fantastorico capace di rivaleggiare con altre storie del suo genere.
Andrea De Venuto
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