La macchina del tempo

Con la macchina del tempo si andava lontano. Era veloce negli spostamenti e non conosceva ostacoli. Bastava premere un pulsante.

Il vecchio era perplesso e, in un primo momento, era rimasto a pensare. Si era grattato la testa, titubante. Davvero un bottone avrebbe messo fine a tutte le sue sofferenze?

Il ragazzo restava in piedi, dietro a quella poltrona che reputava magica. Un’invenzione di cui andava fiero. Eppure, a ben guardare, non era poi tanto diversa dalla poltrona relax che l’infermiera preparava ogni giorno di fianco al suo letto. Com’era possibile allora?

«Sul serio basta sedersi e premere quel pulsante?» aveva chiesto con voce flebile, eppure già più vitale.

Il giovane alto e magro, che per alcuni tratti gli ricordava suo figlio, restava in silenzio e annuiva con fare bonario.

«E come mai avete pensato proprio a me?»

Il vecchio era diffidente. In televisione si sentivano brutte cose. Le persone anziane erano vittime di raggiri. L’idea lo allettava, ma qualcosa in quell’individuo lo bloccava. Aveva bisogno di riflettere.

Come suo figlio, anche lui non stava mai fermo. Sembrava avere addosso una specie di febbre, e cambiava appoggio di continuo. Quasi se i suoi piedi bruciassero, li alternava spostando il peso da uno all’altro.

«Quindi voi avete avuto questa bella illuminazione e oggi siete venuto qui, in questa casa di cura per vecchi, perché vi serve una cavia? Ammettete, è dura da credere.»

Quando era arrivato, nel cuore della notte, quel ragazzo gli aveva detto tante belle cose. Che con quella macchina del tempo sarebbe andato di nuovo ovunque avesse desiderato. Che sarebbe tornato giovane, e soprattutto libero. Certo, una bella tentazione.

Un po’ di dispiacere nel lasciare Magda, la sua infermiera, il vecchio lo provava. E non perché lei avesse grandi tette o capelli profumati, no. Alla sua età, quelle cose non gli interessavano più. Semplicemente perché lo trattava con rispetto e aveva cura di lui. Quando lo adagiava nella vasca da bagno non gli faceva male, e sapeva metterlo a letto con dolcezza, cosa che invece non facevano gli altri infermieri. Infatti, loro non gli sarebbero mancati.

Un pensiero, però, il vecchio se lo era già fatto. Per prima cosa sarebbe andato a casa, a vedere se c’era ancora il suo gatto. Quando si era sentito male, aveva dovuto abbandonarla in fretta, e poi non ci era più tornato. Magda gli aveva assicurato che un bambino gentile, amante dei gatti, era venuto a prenderlo, il suo Pallino, e lo aveva portato a casa con sé. Ma il vecchio si era intestardito a chiedere di continuo notizie, e allora Magda gli aveva portato un biglietto, a riprova che stava bene. Era stato scritto proprio da quel bambino, così gentile. Gli aveva spiegato che, non potendo entrare in ospedale, lui aveva lasciato un appunto. Proprio così aveva detto, un appunto.

“Il suo gatto è qui con me, sano e salvo. Me ne prenderò cura, non si preoccupi”.

Da quel giorno il vecchio aveva smesso di chiedere. Teneva il biglietto appallottolato nel cassetto del comodino e, quando aveva dei dubbi, andava a rileggerlo.

Ora la casa, probabilmente, era già stata venduta. Il vecchio non aveva parenti, ma una nipote che non vedeva mai, unica erede, doveva averlo fatto per lui. Comunque, una capatina a casa non avrebbe di certo fatto male, anche per poi andare a trovare quel bambino carino, e portargli un po’ di quelle crocchette costose che al suo gatto piacevano tanto.

In secondo luogo, sarebbe andato a trovare sua moglie. E non al cimitero, come al solito. Perché quello strano ragazzo – l’inventore – gli aveva detto che con la sua macchina si poteva andare davvero ovunque si volesse. Era certo che la moglie non fosse sotto a quella lapide pacchiana che, alla morte, i suoi parenti avevano voluto per lei. Sua moglie era al mare, in quella casetta che affittavano ogni estate da giovani, dove parlavano fino a tardi la sera, seduti sulla veranda; mentre il loro bambino dormiva pacificamente coricato sul dondolo, con la faccia dorata dal sole e i capelli increspati di salsedine. Lei lo aspettava lì, ne era certo. Perché sapeva che i morti ritornano nei luoghi in cui sono stati più felici. Le avrebbe detto che era stato uno sbaglio lasciarla andare via, e che tutta la sua vita, da quando lei non c’era più, gli era sembrata vuota.

Il vecchio si sentiva confuso. Con ogni fibra del suo corpo debilitato avrebbe voluto sedersi su quella poltrona e pigiare il bottone, ma non era sicuro. E se quello strano ragazzo avesse voluto ingannarlo? Da troppo tempo ormai se ne stava in silenzio, e lo guardava abbozzando sorrisi.

Fosse stato possibile, ma solo se avesse potuto portare anche sua moglie, avrebbe voluto andare a cercare suo figlio. E qui la cosa si faceva più difficile, perché non aveva una meta precisa. Il suo ragazzo se ne era andato in una mattina d’agosto di tanti anni prima. Non lo aveva nemmeno baciato, perché gli aveva detto che usciva a prendere le sigarette. Lo avevano cercato in lungo e in largo, persino a Chi l’ha visto erano andati. Ma di Sergio, nessuno aveva saputo più nulla.

Il suo motorino era stato ritrovato dopo mesi, sotto il cavalcavia dell’autostrada. Lui invece si era dileguato, come se non fosse mai vissuto e non avesse passato ventidue anni insieme con loro.

Il lento declino di sua moglie era iniziato da lì; il dolore di una madre che non si rassegna non può trovare pace. Lei si era ammalata e poco dopo era morta, mentre lui aveva tirato avanti con la sua piccola bottega di alimentari, giù al paese, fino a quando non era andato in pensione. Allora si era ritirato a vivere con un gatto, negli anni mai lo stesso. Fino alla malattia e al ricovero in quel posto per vecchi.

Fino a quando, dal nulla, era spuntato questo giovane nella sua stanza, e gli aveva dato una speranza. Di andarsene da lì, ovunque volesse.

«Voi dovete dire qualcosa, giovanotto. Parlate… Perché vi dovrei credere?»

Il ragazzo aveva smesso di sorridere, e ora era andato a mettersi davanti a lui. I loro occhi si erano incontrati e il vecchio aveva visto il giovane volto trasformarsi, come fosse una maschera di gomma.

«Non lo hai ancora capito?» gli aveva detto. Finalmente aveva parlato.

Il vecchio sì che aveva compreso. Le sue gote si erano velate di lacrime, ma voleva sentirlo dire da lui.

«Sergio!» seppe solo lasciar andare come in un sussurro.

Il sorriso del giovanotto adesso era quello di suo figlio. Anche gli occhi erano i suoi. Era il suo ragazzo.

«Non odiarmi papà, io non ti ho abbandonato. Non ho mai lasciato te e la mamma.»

Il vecchio lo aveva sempre saputo, ma, piuttosto di ammettere davanti a sua moglie che il loro unico figlio era stato ammazzato e che il suo corpo era stato fatto sparire, aveva preferito vivere nell’idea che lui se ne fosse andato perché con loro non stava più bene.

«Io non ti odio, Sergio, non ti ho mai odiato. E nemmeno la mamma.»

E il vecchio allargò le braccia, per accogliere quel suo figlio sfortunato.

«Vedi papà, talvolta, nelle nostre zone, si vedono cose che non si dovrebbero vedere. Magari così, per caso. E la tua vita cambia.»

Il vecchio gli fece segno di tacere. Sapeva già tutto. E comunque adesso non era nemmeno più importante. Ora Sergio era tornato, era lì con lui.

«Non abbiamo molto tempo, papà» gli disse allora.

Il vecchio si riscosse e annuì. Fece uno sforzo immane, perse anche una delle sue pantofole. Ma riuscì a sedersi su quella poltrona del tempo, posta giusto accanto al suo letto.

«Sei venuto per portarmi via, Sergio», e lo disse con una faccia entusiasta, di colpo ritornata bambina.

Mentre fuori l’alba sorgeva, il vecchio premette il bottone, e incominciò la sua storia. Che non era certo la fine, perché quando si riesce a tornare a casa, in realtà, è sempre un inizio.

Il mattino dopo, l’infermiera Magda trovò il vecchio sulla sua poltrona, e si stupì di come avesse fatto a raggiungerla senza aiuto, malandato com’era. Con delicatezza, gli chiuse gli occhi, e sistemò quella mano che si ostinava a rimanere attaccata al telecomando della tv. In attesa dell’arrivo del medico di guardia, raccolse alcune delle sue cose. Lo avrebbe ricordato per sempre, quel vecchietto dal carattere mite. Così lasciò scivolare nella tasca il biglietto, ora tutto stropicciato, che aveva scritto per lui.

“Il suo gatto è con me, sano e salvo. Me ne prenderò cura, non si preoccupi”.

Avrebbe voluto fare di più Magda, ma, di fronte a un uomo morto in quella stanza, seppure pacificamente nel sonno, si sentì piccola. Un nuovo giorno stava per iniziare e lei adesso aveva molte cose da fare.

 

Cristina Biolcati per Upside Down Magazine

© Riproduzione Riservata