Passato alla XVII edizione del RIFF, Rome Independent Film Festival, La partita è un piccolo lungometraggio italiano diretto dall’esordiente Francesco Carnesecchi, la cui genesi viene direttamente da un cortometraggio che il medesimo regista ha diretto nel 2016 e portato in giro per festival con notevole successo di critica.
Ora, divenuto un’opera di circa un’ora e quaranta, tale corto, che senza alcun giro di parole si è trattato esclusivamente di un puro riscaldamento per il giovane autore, prende una strada tutta sua, ampliando le vedute e guardando a più trame, grazie anche ad un cast comprendente in parte i medesimi volti che primeggiavano in quel piccolo succitato riscaldamento e che danno la giusta dimensione al microcosmo descritto ne La partita; siamo in una afosa domenica estiva e lo Sporting Roma, una delle squadre periferiche più sfortunate di tutta la categoria “allievi”, sta giocando la finale, dove potrebbe vincere finalmente un meritato premio.
Intorno a tale competizione si aggirano una serie di personaggi critici e dalle esistenze allo sbando, il cui destino potrebbe essere fatale proprio grazie al risultato di questa sudata partita: l’allenatore Claudio (Francesco Pannofino) finalmente potrebbe togliersi una soddisfazione se la sua squadra vincesse; il presidente Italo (Alberto Di Stasio) è in forte debito con gente poco raccomandabile, guidata dal temibile Umberto (Giorgio Colangeli), per via di una scommessa in atto su questa competizione; Paolo (Fabrizio Sabatucci), padre di uno dei bomber dello Sporting Roma, ordina al figlio di dare il peggio di sé, perché ha puntato sulla sua sconfitta.
Un giro di vite che cercheranno di trovare un senso in quei fatidici novanta minuti, un lasso di tempo in cui le loro esistenze subiranno una svolta definitiva.
Non è Fuga per la vittoria di John Huston e nemmeno Ultimo minuto di Pupi Avati, ma La partita di Carnesecchi è un prodotto che nel suo piccolo, tirato su con fatica , riesce a sviluppare un determinato discorso sulle esistenze periferiche capitoline che abitano gli spalti delle piccole partite di calcio; qua troverete genitori in cerca di una riscossa (il Claudio di Pannofino è in attesa del primo figlio, Italo di Di Stasio è perseguitato dalla debosciata prole rappresentata dal Leo di Daniele Mariani, lo stesso Paolo di Sabatucci si affida sulle sconfitte del proprio primogenito) ed esistenze prive di una via di salvezza, tutto condito da un pizzico di pura analisi che descrive in modo realistico la vita periferica romana, con i suoi personaggi un po’ perdenti e un po’ balordi, specchio di una società mai abbastanza raccontata sui grandi schermi, soprattutto in questi ultimi tempi (prodotti di vita criminale a parte).
Si può giusto rimproverare una certa eccessiva lunghezza nel film di Carnesecchi, con l’aggravante di aggiungere un’intera scena ambientata durante una comunione e slegata a livello di linguaggio e di argomenti, ma ciò non toglie che il suo La partita sia una visione da consigliare per chi è in cerca di un cinema sincero e aperto a chiunque, una piccola lezione che mischia un passato e un presente pregni di sconfitte ottenute, non solo di partita in partita, ma di generazione in generazione, assaporando quel metaforico amaro sonetto quale è “la dura legge del gol” cantato dagli 883, che apre la visione del film in una versione totalmente cover.
Quando il calcio si fa metafora di vita in tutta la sua sincerità.
Mirko Lomuscio