Alessio Provenzani, farmacista, è nato a Palermo, dove vive e lavora.
Nel 2019 ha pubblicato il suo primo romanzo A volte le parole non bastano (Scatole Parlanti).
Hai carta bianca e tre aggettivi per descriverti…
Irrequieto, malinconico, sognatore.
Mai senza…?
Mare e un pizzico di incoscienza.
Cosa ti piace leggere?
Principalmente narrativa. Spazio dai classici francesi alla letteratura americana, non mi pongo confini, ma per carità, sempre un libro per volta.
E così lo strato geologico formato dai libri sul mio comodino si alimenta. Anzi, sembra avere vita propria. Cresce, a volte si riduce, certe volte si allarga, ma è sempre lì. Grazie a Dio. Toglietemi tutto ma non la lettura.
Se dovessi esprimere tre desideri?
“Quello che non ho è quel che non mi manca”. Riferimenti musicali a parte, mi mancano le cose semplici, quelle che fino a ieri davamo per scontate.
La tua vita in un tweet?
Sarò breve: “Ora devo andare”.
Parlaci della tua raccolta di racconti. A chi la consiglieresti e perché?
In questa raccolta ho cercato di creare un caleidoscopio di storie da bere nel tempo di un caffè, e proprio come il caffè, brevi e intense. Il fil rouge che lega questi sette racconti è il rapporto dei rispettivi protagonisti con il loro passato e con la loro terra. Ma le storie non vorrei raccontarle, è bello scoprirle da sé.
Come sono nati i personaggi?
I personaggi traggono origine da sentimenti e scene di vita vissuta; si caratterizzano per essere sempre in conflitto con il loro destino che, come in una partita a scacchi, non mancherà di fare l’ultima mossa. In questi racconti, pur se molto differenti per cornice narrativa, ho cercato di proteggere l’autenticità dei personaggi, permettendo loro di parlare, esprimersi, muovere e comportarsi come creature vive, con le loro piccole paure, gioie, manie, rimpianti sospesi, amori immaginari… Le storie dei vari racconti non sono collegate tra loro, anche se, in fondo, tutti i personaggi sono riconducibili a Diego, il protagonista del mio primo romanzo A volte le parole non bastano. Uno dei sette racconti della raccolta, U tagghiamu stupalluni, con Diego protagonista, altro non è, infatti, che lo spin off del romanzo.
Le ambientazioni scelte provengono dal reale o sono anche una proiezione dell’anima?
Direi entrambe le cose. L’ambientazione è reale e i luoghi sono i più disparati: si parte dagli Stati Uniti, passando per Lisbona, fino ad arrivare in Sicilia, casa mia. Che poi ognuno di questi luoghi mi appartengano come tasselli di un puzzle della mia anima, è fuori dubbio.
Come puoi riassumere ai potenziali lettori la tua raccolta di racconti? Qual è il messaggio che hai voluto trasmettere?
Attraverso questi racconti, familiari, quasi intimi, mi rivolgo a un solo tipo di lettore: quello che ha sete di vita e che non smette di porsi delle domande. Chi saremmo noi se il caso e le nostre scelte non ci avessero portato ad essere quello che siamo oggi? La vita è un viaggio, un’Odissea, a volte si torna a casa, e quindi a sé stessi, tante altre volte il ritorno non è possibile e non ci si volta più indietro. Ma, non sempre questo è un male.
Sei già al lavoro su un nuovo manoscritto?
Amo raccontare storie, indi, sì.
Silvia Casini
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