Continuano i racconti scritti da Samanta Crespi e ispirati al film Ladyhawke del 1985 diretto da Richard Donner.
Buona lettura!
Come avrebbe potuto spiegare cosa albergasse nel suo cuore in quel momento?
Rannicchiata in quella buca scavata nel terreno, tremava dal freddo, tutto intorno a lei sono neve, ghiaccio e il sottile fischio del vento tardo autunnale.
Isabeau osservò il lupo accanto a sé, in quel anfratto troppo piccolo per contenerli entrambi. Non aveva paura, qualsiasi altra donna al suo posto sarebbe fuggita in preda al terrore, non lei.
Quel manto nero e folto che, con la mano stava accarezzando, rappresentava per lei ben più di un predatore. Dietro quell’aspetto fiero, ma selvaggio, al di là della forma aggressiva, si nascondeva il cuore di colui che lei amava, che aveva sempre amato: Etienne Navarre.
Il lupo, di notte, era il suo compagno di sventure. Un uomo rinchiuso in un corpo di animale, solo per il capriccio e la bramosia di un’anima folle ed oscura.
Il vescovo di Aguillon cieco d’amore per Isabeau, aveva maledetto entrambi, sia lei che il capitano Navarre, imprigionandoli in una semivita, braccati continuamente, costretti a fuggire per non essere catturati.
Sempre insieme, ma eternamente divisi, come separati sono il giorno e la notte dal sottile apparire dell’alba e il volgere del tramonto.
Il loro castigo era quello di non potersi amare: lui condannato ad essere un bellissimo lupo di notte, lei, un bellissimo falco di giorno.
In quegli attimi precedenti l’aurora, Isabeau osservava, avvolta nella cappa cremisi del proprio mantello, la scura figura contornata dalla folta pelliccia, le possenti zampe e il muso docilmente adagiato sul terreno umido.
Il respiro regolare sprigionava un lieve tepore, che contrastava con il gelo delle dita affusolate, ed irrigidite dal freddo, della donna dagli occhi limpidi come il cielo d’inverno.
Isabeau amava Navarre, anche se sotto quella forma, anche se il loro amore viveva di ricordi, di piccoli istanti dati dal sorgere o dal calar del sole. Temeva però, più di ogni altra cosa, di dimenticare, come se vivere quella vita a metà, prima o poi avrebbe minato ciò che li univa, ciò che di umano restava in loro.
Ecco il motivo di quel bizzarro espediente, quella tana scavata a mani nude dal fidato Philippe e da padre Imperius, in cuor suo ardeva la speranza che accoccolandosi in quella buca con il lupo, avrebbe potuto convincere l’uomo che ne portava le spoglie, ad affrontare insieme a lei, una volta per tutte, il vescovo e vivere finalmente come esseri umani completi e non animali di mondi inconciliabili.
Lei signora dei cieli, dal folto piumaggio e dai forti artigli.
Lui signore della foresta, dalle possenti zanne e dallo straziante ululato, affidato alla pallida luna silente.
Isabeau voleva di più, voleva potergli dire di nuovo quanto lo amava.
Voleva sfiorare il suo volto, al posto del morbido pelo.
Desiderava perdersi di nuovo in quegli occhi di ghiaccio, gli stessi che molti anni prima, avevano fatto capitolare il suo cuore di fanciulla.
Trattenne il respiro quando, sollevando leggermente le nocche della mano destra, si accorse dei timidi raggi del sole che facevano capitolino nel cielo notturno, lambendo anche il loro nascondiglio improvvisato.
Infine l’alba tanto temuta era giunta, un altro giorno nasceva per separarli nuovamente.
I raggi caldi e brucianti come il fuoco, colpirono sia Isabeau, sia il manto nero del lupo, il quale a poco a poco lasciò spazio alla pelle morbida, liscia e tesa dei muscoli dell’uomo dai capelli color del grano.
Isabeau si portò istintivamente la mano al viso, troppo scossa persino per respirare.
Davanti ai suoi occhi, per la prima volta dopo più di due anni di tormentose pene, si stava trasformando Navarre. Poteva vedere le vestigia di lupo svanire, lasciando spazio all’uomo, ricordava bene quel corpo, i contorni della schiena, i muscoli delle scapole, poteva quasi avvertirne la tensione interna.
Lui si voltò, e i suoi occhi che, da lupo si erano fatti quelli di uomo, ci misero qualche istante a mettere a fuoco chi, o cosa, avesse davanti a sé.
Non ci fu bisogno di parole, mentre il sole inesorabile continuò la sua ascesa al cielo, i due amanti si guardarono esitanti, incapaci di dire alcunché, tanto era timore di spezzare quel preziosissimo momento di vicinanza tra loro, con il suono delle loro voci.
Allungarono entrambi le mani, l’una verso l’altro, nel vano tentativo di toccarsi, di sfiorarsi ancora una volta.
Gli occhi di Isabeau ardevano di commozione, una timida lacrima fece capolino agli angoli, ma non scese a rigarle la gota, non ne ebbe il tempo.
Le chiare iridi rubate al cielo, si trasformarono con un battito di ciglia, e così anche il resto, le forme morbide e delicate di donna, lasciarono il posto alla spigolosi tra del rapace.
La bellissima donna fu sostituita da un altrettanto meraviglioso falco pellegrino che, da quella stessa posizione, lanciò uno straziante stridìo, prima di sbattere le ali e fuggire via.
Navarre, ormai completamente desto e consapevole del proprio corpo, si sporse con il braccio verso il falco, nel tentativo di afferrarlo, troppo tardi ormai, l’unica cosa che riuscì a sfiorare fu l’aria pungente di quel mattino terso.
Lanciò anch’egli un grido disperato e straziante.
Un cuore, quello del capitano Navarre, lacerato nel profondo, il cui dolore fu accolto solo dalla gelida neve che circondava quella piccola alcova, ormai semivuota.
Sempre insieme, eternamente divisi.
Finché il sole sorgerà e tramonterà.
Samanta Crespi
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