Le cose che verranno – L’avenir: recensione

Dal 20 aprile 2017 arriverà nelle sale cinematografiche italiane Le cose che verranno – L’avenir, della giovane regista Mia Hansen-Løve Orso d’Argento a Berlino, che in passato ha ottenuto vari premi: al suo esordio ha ricevuto il Premio Louis- Delluc nel 2007 con Tout est pardonné, il Premio Speciale della Giuria al festival di Cannes nel 2009 con la sua seconda opera Le père de mes enfants e una menzione speciale nel 2011 per il film Un amour de jeunesse.

Ad interpretare la protagonista della sua ultima pellicola è una splendida e magistrale Isabelle Huppert per la quale ha ricevuto il premio come Miglior Attrice dell’Anno ai Critics’ Choise Award di Londra e vincitrice ai Golden Globe e del Premio César per il film Elle di Paul Verhoeven, che le è valsa la candidatura agli Oscar come miglior attrice.

Nel Le cose che verranno – L’avenir, la Huppert è Nathalie, un’insegnante di Filosofia di un liceo di Parigi, sposata e madre di due figli. La sua vita, apparentemente serena e tranquilla, viene stravolta nel momento in cui il marito Heinz (Andrè Marcon) le confessa di volerla lasciare, perché innamorato di un’altra donna, a quel punto Nathalie si troverà a confrontarsi con una improvvisa e ritrovata libertà e la prospettiva di ricostruire se stessa e una nuova esistenza grazie anche all’aiuto del suo ex alunno Fabien (Roman Kolinka), suo pupillo divenuto uno scrittore e che ha deciso di vivere in una comune nel parco regionale del Vercors, territorio di Grenoble, rinunciando ai modelli imposti dalla “borghesia” a favore di un’esistenza minimalista priva di eccessi.

Nonostante l’interpretazione toccante e commovente di Isabelle Huppert, il personaggio di Nathalie non emerge come ci si aspetta, la vicenda che la stravolge sembra non toccarla minimamente, evolvendosi in modo piatto e distaccato, così come l’intera storia.

Il dramma che dovrebbe esplodere e coinvolgere in realtà resta soffocato dalla monotonia delle azioni dei vari personaggi che rimangono impassibili nei confronti di una vicenda che cambierà la loro quotidianità. In Nathalie la ritrovata libertà, nonostante le ponga dei presupposti molto forti e validi, non la stimola a creare nuovi stimoli, ma semplicemente le dà la forza di continuare a vivere come sempre, con la differenza di non avere più accanto a sé l’uomo che, come dice lei stessa, credeva l’avrebbe amata per sempre.

Neanche la morte della madre Yvette (Edith Scob) , malata di demenza senile e per questo affidata a una casa di cura, poiché i famigliari non hanno il tempo di poter prendersi cura di lei, la scuote abbastanza da permetterle di realizzare il tanto atteso cambiamento, soprattutto interiore, bensì contribuisce ad aumentare l’apatia verso ciò che la circonda, rendendo così l’intera narrazione ancora più lontana e distaccata, incapace di ribaltare il destino e proporre sul suo cammino una vera e propria rivalsa umana.

 

Emanuela Giuliani

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