Ci siamo sfiorati tra la folla ieri, ma lui non se n’è accorto.
Il viso rivolto al cielo alla ricerca di chissà che lassù tra le nuvole, una fisionomia, un profilo, un animale, come suo solito, e io lì accanto, il mio esile braccio incollato al suo per una manciata di secondi appena, le sue spalle larghe sovrastanti le mie, l’incedere importante, rivolgo uno sguardo veloce alle sue scarpe e gli occhi cadono impietosi su un paio di calzini bianchi tra il cuoio nero e la stoffa grigio topo, come ha potuto compiere una simile leggerezza lui sempre così elegante, tono su tono, declamava sovente a voce alta, a riprova del suo buongusto.
Si sarà vestito di fretta nell’oscurità della notte, le calze grigie e nere tutte bucate o da lavare, altrimenti non l’avrebbe mai fatto, mi sorge un dubbio, che non sia lui, lo riguardo con maggiore attenzione, è proprio lui invece, lo stesso portamento regale, la testa alta, la schiena diritta, l’immenso torace custodia sicura di un cuore delicato che sa destreggiarsi con agilità tra i labirinti dei pensieri, i suoi e quelli altrui.
Si, è proprio lui, quell’abile conversatore e affabulatore senza uguali, come mi manca, anche dopo così tanto tempo.
Mi portava sempre verso la felicità, una volta in cima a una montagna, spesso in un bosco o tra le nubi, ho così tanta nostalgia di lui, ma so che lui non ne ha di me, mio malgrado.
Quando sono triste mi aggrappo a una nuvola, afferro una punta di una stella e mi lascio ciondolare tra i ricordi, chiudo gli occhi, spalanco le orecchie, mi tuffo nella sua testa e mi ritrovo in un insospettato groviglio, cerco di districarmi tra le mille curve quindi mi accuccio in un angolo protetto e aspetto.
L’attesa è lunga e silente, eppure prima o poi qualcosa accadrà, ne sono certa, gli verrà pure alla mente un ricordo di noi due, uno tra i tanti, tutti ineguagliabili.
Almeno uno, non chiedo molto.
D’un tratto un suono acuto sollecita le mie orecchie, una luce scintillante mi annebbia la vista e il mio corpo trema invaghito da un cambiamento, lo sento confidare un episodio a un amico, che stia parlando di noi due, raddoppio l’attenzione e odo parole toccanti.
Sta rivivendo profumi indimenticabili di acqua lacustre, abbracci di sole e di luna, un salice piangente testimone del nostro amore, la sabbia dorata, mi faccio trasportare dalle sensazioni, è giorno, è notte, sospiro, un segno allora l’ho lasciato nella sua memoria, declamo esultante tra me e me, quand’ecco tutt’intorno cala il silenzio e s’innalza il timore, ora è tutto chiaro, non sta affatto parlando di me, ma di sé, solamente di sé, di un sé spropositato che si gonfia e intasa la calotta cranica, la sfonda e mi scaraventa fuori con un balzo sovrumano.
C’è posto soltanto per lui là dentro, che pena.
Elisa Bollazzi
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