C’era una volta, 25 anni fa, un regista di grande grido come Terry Gilliam, l’uomo dietro Brazil, Le avventure del barone di Munchausen e La leggenda del re pescatore, alle prese con una personale ossessione pregna di ispirazione; cioè trasporre su grande schermo l’immortale opera letteraria di Miguel de Cervantes Saavedra Don Chisciotte della Mancia, o almeno una versione propria che potesse spiegare l’idea di cosa significhi portare al cinema tale immenso manoscritto.
Al dunque Gilliam si diede subito da fare, cercando di coinvolgere quante più persone affidabili nel progetto e tirando su un prodotto che rientri nelle sue corde; Johnny Depp, Jean Rochefort, John Hurt, questi alcuni degli interpreti chiamati a recitare tale lungometraggio, però, come se non bastasse, data la mole di lavoro da svolgere, ben altre nefaste tragedie spingeranno il decantato autore a dover eclissare il progetto.
Nubifragi che distruggono il set, investitori che si ritirano ed in più un’infezione alla prostata che mette fuori gioco Rochefort, unico Don Chisciotte voluto fortemente da Gilliam stesso, tutti problemi che impediranno all’opera di prendere vita e che fermeranno definitivamente la lavorazione, raccontati poi in un documentario interessante come Lost in La Mancha (del 2002) di Keith Fulton e Louis Pepe.
Insomma, tutto ciò che avvenne attorno a questo film è sempre stato leggenda, lasciando credere che Gilliam non avrebbe mai più tentato di riportarlo in vita, salvo poi riuscire nell’ardua impresa proprio nel 2018, filmando il qui presente L’uomo che uccise di Don Chisciotte; via il compianto Rochefort (alla cui memoria e quella di Hurt è dedicato l’operato) i panni dell’invasato cavaliere spettano al fido Jonathan Pryce (al servizio del regista sin dai tempi di Brazil), mentre al posto di Depp, che ricoprì la parte del regista Toby alias Sancho Panza, troviamo il lanciatissimo Adam Driver (Star wars: il risveglio della forza, A proposito di Davis, Silence), sulla cui caratterizzazione ruota l’intera trama di questo ambito progetto.
Completano il cast la presenza di Stellan Skarsgard, Olga Kurylenko, Joana Ribeiro, Oscar Jaenada, Sergi Lopez e Jordi Mollà.
C’è uno spot in lavorazione nelle terre iberiche, dedicato alle gesta di Don Chisciotte, personaggio letterario nato dalla mente di Cervantes, e la direzione di tale prodotto è affidata a Toby (Driver), un uomo che in queste lande desolate e cieli immensi aveva già messo piede, tanto tempo addietro; la sua opera prima infatti era proprio una trasposizione del noto libro spagnolo e come protagonisti utilizzò solo facce del luogo, non esperte alla vita da set.
Il ruolo di Don Chisciotte spettò ad un calzolaio (Pryce), che Toby ritrova ora, dopo dieci anni, come fenomeno da baraccone; l’incontro tra i due porterà entrambi verso un’inverosimile avventura, votata alla ricerca della fantasia e del cosa c’è di decoroso nel tramandare importanti valori dell’intrattenimento, lontano dalla corruzione dello spettacolo baracconesco odierno.
Opera sudata ed ambita, attesa da anni ed anni dai fan del noto ex Monthy Python, L’uomo che uccise Don Chisciotte è quello che molti si aspettano di vedere dalla visionarietà di Gilliam, il quale in questo frangente riprende una struttura memore di alcuni suoi titoli come Le avventure del barone di Munchausen e Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo e la utilizza per gonfiare questa metaforica battaglia tra arte ed entertainment, filtrata dall’imponente valore dell’immortale opera di Cervantes.
Ciò che ne esce da questo prodotto finale è l’ulteriore dichiarazione d’amore di cosa un autore è disposto a fare pur di salvare i propri principi, un’allegorica storia di piccoli uomini (o registi) alle prese con giganti dell’industria (i famosi mulini a vento), con la finalità di dimostrare che la quantità non vincerà mai sulla qualità, quest’ultima eredità sacra che viene tramandata di persona in persona (o di spettatore in spettatore).
Il messaggio è ben chiaro, il linguaggio utilizzato da Gilliam anche (seppur meno visionario del solito, più orientato su una satirica descrizione storica) e le interpretazioni trovano una grande qualità (ottimo Pryce, ma Driver forse anche meglio); unica cosa è che magari da L’uomo che uccise Don Chisciotte ci si aspettava qualcosa di più soddisfacente sul fronte narrativo, ma finché il discorso gilliamano riesce a rendersi meno criptico del solito allora si può dire che ci troviamo di fronte ad un‘opera comprensibile e ben realizzata, anch’essa tramandabile a tutti, come i valori artistici decantati nella trama di questo film.
Mirko Lomuscio