“Oggi mi sposo!”
Forse dovrò ripetermelo altre cento volte prima che io riesca a crederci davvero, prima che io riesca semplicemente a rendermene conto. Ed è compito di questo specchio mostrarmi cosa sta davvero accadendo.
Già, perché continuo a fissare il mio riflesso. Non è incredulità questa sensazione che avverto. È qualcosa che va al di là della realtà. Eppure è incredibilmente reale: indosso un abito bianco, il corpetto mi stringe il seno ma non il cuore, questo cuore che asfissiato non lo è da tempo; dalla vita in giù l’ abito scende gonfio e morbido. Ho parte dei capelli raccolti e la parte restante ondeggia sulle mie spalle nude. Non oso ritenermi una nuvola, ma oggi ho decisamente a che fare con la leggerezza.
Non nascondo però che la mia immagine riflessa emana al tempo stesso pesantezza. E poi perché ho questo sorriso smagliante? Quasi occulta il mio sguardo. Il mio sguardo accentuato dalle ciglia stracolme di mascara. No, il mio sorriso non ha mai prevalso sul mio sguardo. Dunque non sarebbe il caso di farlo notare proprio oggi. Oggi è uno di quei giorni in cui deve risaltare ciò che più mi rappresenta. Bene, direi che il sorriso non mi ha mai definita come persona.
Mi guardo ancora: “Sto per sposarmi!”.
Questo abito più di ogni altra cosa, persona, sensazione me lo ricorda. Anche l’espressione del mio viso me lo sta urlando: “Stupida, sta accadendo!”.
Dopo tutti questi indizi, dettagli, ovvietà, cos’altro mi impedisce di capire? Perché ancora non ci credo? Perché ancora non ne sono consapevole? Forse non dovevo chiedere che mi lasciassero sola per una mezz’oretta prima della cerimonia. Sono sbalordita. Non credo al fatto che io stia realizzando un sogno. Non credo al fatto che esista davvero la possibilità che io sia felice. Non che non lo meriti, sia chiaro. L’ho desiderato così tanto. L’ho desiderato ardentemente. Non ho fatto altro che attendere questo momento per tutta la vita. Magari questo desiderio mi ha vietata di toccarla la realtà. Di toccare questa realtà. L’uomo che amo mi sta attendendo.
Ho deciso. Ho deciso di non restare qui tutta sola. Ho deciso di non sprecarla tutta questa mezz’ora. Che senso ha aspettare? Aspettare cosa? Aspettare chi? Devo smetterla di avere paura. Devo smettere di pretenderla questa felicità. Devo iniziare a raggiungerla. Devo abbracciarla. Ultima occhiata allo specchio e vado, giuro! Aspettate un attimo: c’è un’ altra persona riflessa nel mio specchio, in quello che doveva essere solo il mio pozzo di verità. Mi volto. Ora si che il mio cuore sta affogando sul serio.
All’improvviso il corpetto mi opprime. Il corpetto? No. Non è il corpetto. È la sua vista che mi sconvolge. È la sua vista che, come al solito, altera tutto. Anche la taglia del mio corpetto. Fortunatamente riesco a parlare: “Cosa ci fai qui?”
Queste parole mi escono dalla bocca come se niente di insolito stesse accadendo. Sfortunatamente il mio sguardo non mente. Non può mentire proprio nel giorno in cui deve rappresentare la mia persona. Ed ecco che il mio sguardo smaschera l’eccitata agitazione del mio cuore. Lui, come se non avesse letto il cartello invisibile che è appeso fuori la porta di questa stanza, come se non avesse letto il cartello che reca la scritta “Accesso vietato a chi non fa più parte della mia vita!”, lui inizia a parlare.
Ansimante, dice: “Ciao. Tu… tu sei bellissima! Anzi, indescrivibile. Senti, so esattamente cosa stai pensando in questo momento. Non dovrei essere qui, lo so. Qui proprio no. Devo parlarti, ma voglio che sia tu a decidere. Voglio che sia tu a darmi la facoltà di essere ascoltato da te!”
Io non posso proprio consentirgli di parlare. Le sue parole mi travolgerebbero ancora una volta in quel maledetto circolo vizioso. Non può sconvolgermi ancora. Peccato sia troppo tardi. Il solo suono di quelle parole, certo anche il contenuto, mi ricondurrebbe alla realtà. Peccato che io non percepisca più la distanza che intercorre tra la realtà e la natura nociva dei miei stupidi sogni.
“Eh no, tu proprio non sai cosa mi passa per la testa in questo momento. Non ti azzardare nemmeno per un istante ad ipotizzare che tu davvero percepisca l’uragano che si è scatenato dentro di me. Sia chiaro, non ho nulla contro di te. Non ci vediamo da anni. Abbiamo interrotto la nostra storia cinque anni fa. Ora sei qui. Sei davanti a me. Io indosso quest’abito favoloso. Sto andando ad essere felice. Cosa c’è più da dire? Cosa puoi volermi dire ora? Io penso che tu non possa scombussolarmi la vita a tuo piacimento. Tu non puoi farlo ancora. Non puoi farlo. Ora ne sono del tutto fuori e tu lo sai, altrimenti non indosserei quest’abito. Sai cosa rappresenta per me il matrimonio! Io sono felice. Ho scelto di esserlo anche per il semplice fatto che ti ho omesso dalla mia vita. No, scusa, sei tu l’uomo delle omissioni. Odio, a causa tua, questo verbo. Per me la grammatica ha un verbo in meno: omettere. Omettere è un verbo che non uso mai. Pertanto preferisco dire che ti ho escluso dalla mia vita. Non ci sei più nella mia vita. Se non ti facessi parlare però, avrei sempre il dubbio. Vivrei col dubbio che io, tra qualche minuto, non abbia attraversato quella porta dopo aver visto, ascoltato, provato ogni cosa a questo mondo prima di sposare la persona giusta, la persona che davvero amo. Quindi parla. Questa volta però lascia cadere il velo delle omissioni che cinque anni fa hai posto tra noi due!”
Intanto il mio cuore sta annegando in un mare di sangue. Non vi è nessuno che possa portarlo a riva, in salvo. Nessuna respirazione bocca a bocca lo rianimerebbe.
O forse c’è qualcosa, qualcuno che lo farebbe respirare, che lo riporterebbe al comando.
E mi piace pensare che quel qualcosa siano queste parole, le sue parole. E mi piace pensare che quel qualcuno sia lui. È questa la cura di cui il mio cuore necessita. È questo il respiro che al mio cuore mancava.
“Non sono qui per dirti che ti amo. Lo sai già. Lo sai da sempre e lo saprai per sempre. Non è solo una questione di sapere ciò che provo. Tu non ti limiti alla banale, se così si può definire, sensazione di saperlo. Tu lo senti. Lo senti addosso il mio amore. Ti invade. Ti perseguita. Ti alimenta. Ti cura. Ti vizia. Ti disseta. Ti strozza. Ti abbatte. Ti gela. Ti infuoca. Ti ammala. Ti strema. Ti violenta. Ti impedisce di amore un altro come ami me. Ti impedisce di sposare un altro oggi. Sai chi mi dà tutta questa certezza, questa fottuta convinzione che mi ha condotto fin qui? Il tuo amore. L’amore che provi per me. L’amore che provi per me mi provoca infatti le stesse sensazioni, emozioni, malattie, chiamale come cazzo di pare. Perché sono qui solo ora? Perché ho permesso che passassimo parte della nostra vita lontani? Perché ho lasciato trascorrere questi insignificanti cinque anni? Perché ho fatto in modo che tu sposassi quasi un altro? Non chiedermelo, ti prego. Non chiedermelo perché sapevi perfettamente che avrei maledetto il giorno in cui ti ho lasciata andare solo quando sarebbe stato troppo tardi per rimediare. È troppo tardi, hai ragione. Ma sono qui. Io sto facendo ciò che tu hai sperato fin dall’inizio. Sta accadendo ciò che entrambi abbiamo sperato. Ti rendi conto? Il nostro amore è ancora vivo, pur non essendo stato alimentato da anni. Da cinque anni. Posso pure continuare a parlare per ore, giorni, mesi. Sai benissimo però che tutto ora dipende da te. Io ho scelto. Ho scelto da tempo. Ho scelto quello strano giorno in cui ti ho confessato il mio amore. Quel giorno in cui eri sopra di me, sulla mia schiena, ed io a pancia sotto, schiacciato contro il divano. In quell’esatta posizione, per niente scomoda, stavo finalmente smettendo di opprimere il mio amore per te. O preferisci che ti dica che stavo finalmente smettendo di omettere il mio amore per te? Già, amore mio, io ho scelto anni fa. Sapevo che ti avrei amata per sempre. Ora tu non puoi proprio dirmi che è tardi. Non lo accetto. Non ci credo. Perché non è tardi. Perché io ti amo da quello strano giorno. Ti amo dallo strano giorno in cui hai ricevuto da me la più buffa e romantica delle dichiarazioni. Anzi, ti amo da prima. Ti amo da prima di quel giorno in cui non ebbi da te alcuna risposta al mio ti amo. E mai, mai c’è stato un giorno in cui ho smesso di amarti. Sei tu piuttosto quella che mi ha amato alternativamente. Il tuo amore nei miei confronti è stato intermittente. Intermittente come un’ insegna al neon che sta lì, sul ciglio della strada, nonostante il locale che pubblicizzava abbia chiuso da anni. Scusami se anche io ho dubitato di questo amore, di questo nostro amore, ma questo me lo hai insegnato tu. È colpa tua. Ed io non tollero il fatto che tu, in quella testa che ti ritrovi, incolpi me. Io colpe non ne ho. Lo ripeto: io ti ho sempre amata. Tu invece puoi dire lo stesso? Non ti azzardare a dire di si. Dio, quanto sei stupenda. Sapevi che sarei venuto. Sapevi che non ti avrei mai lasciata volare via per davvero. Ti ho concesso degli anni. Cinque anni. Ora sono qui a prendermi ciò che mi spetta. E tu sei mia. Inventati anche tutto quello che vuoi ora. Parla. Urla. Piangi. Sbattimi fuori. Fallo per darmi una lezione. Beh, se ora mi lasci qui, con la bocca spalancata, me la dai una lezione, contaci. Non puoi farlo però. Per quanto io sia un continuo elemento di disturbo nel tuo mondo, purtroppo ci siamo incontrati. Purtroppo (dico purtroppo, ma non è così), dobbiamo passare il resto della nostra vita insieme e tu lo sai meglio di me. Non mentire a te stessa. Non farlo proprio in questo sacro giorno. Sposa me!”
Nessuna lacrima sta rigando il mio viso. Mi è andata bene dato che ne ho trattenute più di cento. Forse di più. Sicuramente ho perso il conto. I miei occhi strariperanno? Meno male che ho imparato a domare anche quelli. Non so che dire.
In realtà non c’è davvero nulla che io possa dire, che io possa fare. O forse c’è qualcosa da fare. Sì, io ora posso scegliere. Ora ho tutto ciò che volevo. Posso decidere cosa prendere. Non può più decidere la vita al mio posto.
Eccola qui la mia felicità: la possibilità di scegliere. Posso sbatterlo per terra e andare a sposarmi o posso sposare lui. Posso scegliere. Lo sto facendo. L’ho fatto. Ho scelto.
E fu in quel giorno che realizzai il sogno della mia vita. Era lui la mia felicità? Solo in quel giorno mi resi conto di aver trascorso buona parte della mia vita a sognare ciò che in realtà non volevo davvero. Volevo dunque lui? Lui e basta? Qual era il mio più grande sogno, desiderio, la mia più alta aspirazione?
Certamente da quel giorno mi sentii viva. Finalmente. La verità è che mentre indossavo l’abito dei miei sogni, mentre vivevo il giorno dei miei sogni, mentre stavo appunto sognando, avevo perso il contatto con la realtà. Fu proprio in quel giorno che smisi di sognare. Sì, iniziai a vivere. Decisi infatti di essere reale. Perché non meritavo solo che tutti i miei sogni si realizzassero. Meritavo di più. Molto di più. Io meritavo la felicità. La reale felicità.
Realizzai il mio sogno di felicità quel giorno? No, mai più sogno fu così reale. Io ero reale. Noi lo eravamo. Noi.
Luisana Ranieri per Upside Down Magazine
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