A vent’anni dal suo esordio dietro la macchina da presa, ovvero lo strapremiato Radiofreccia, il cantante emiliano Luciano Ligabue torna con un film tutto nuovo, nonostante l’ultima opera cinematografica a cui ha messo mano è Da zero a dieci del 2002, contando quindi ben sedici anni che lo hanno tenuto lontano dalla settima arte.
Il titolo del suo nuovo lungometraggio è Made in Italy, che al contempo è anche quello dell’ultimo album del “Liga” nazionale, e date le premesse l’intenzione è quella di voler creare un intero omaggio al nostro Belpaese, con tutte le sue bellezze e quelle sfaccettature che lo rendono unico, nel bene e nel male.
Protagonista è lo stesso Stefano Accorsi che recitò nel primo film di Ligabue, stavolta nei panni di Riko, operaio di una fabbrica di mortadelle dell’Emilia Romagna, sposato con Sara (Kasia Smutniak) e dedito alla sua esistenza dietro ai vari problemi esistenziali.
Tra questi c’è lo stesso matrimonio in crisi e il rapporto conflittuale con alcuni amici, come il problematico Carnevale (Fausto Maria Sciarappa), chiuso ormai nel critico cerchio del gioco d’azzardo.
Ma è giusto che le cose rimangano così? Non c’è proprio alcun modo per rimediare a tutto, trovando una soluzione nel miglior modo?
Riko non se ne starà con le mani in mano e far sì che tutto prenda una piega migliore è cosa fattibile, se ci si mette con impegno.
Ben sedici anni lontano dalla macchina da presa per Ligabue, ma forse per il medesimo tempo anche lontano dalla materia filmica, senza quindi documentarsi in riguardo; infatti Made in Italy sembra un prodotto uscito fuori nei tardi anni ’90, con i soliti cliché e luoghi comuni, tipici del cinema italiano.
A visione iniziata fate una bella cosa, prendente carta e penna cominciando a segnare quanti più argomenti sentiti potete trovare, tutti piazzati con molto patetismo; si parte con una traccia di razzismo, poi arrivano le “corna” con conseguente crisi matrimoniale, in seguito l’amico problematico, i problemi generazionali, il viaggio tra i monumenti italiani (quelli di Roma per la precisione), un pizzico di omosessualità, le manifestazioni, le cariche con la polizia, la cattiva informazione televisiva, l’integrazione razziale (con felice pranzo indiano), la crisi economica, la disoccupazione, l’ombra della morte, e così via, fino a farsi del male per tutta la durata di questa visione.
In più la regia di Ligabue crea solo siparietti e parentesi a sé, senza un vero senso logico e soprattutto narrativo, gettando nel mezzo anche un po’ di stile videoclip e la sua compiaciuta colonna sonora, fatta esclusivamente di canzoni prese dall’album omonimo del film.
Sicuramente anche Accorsi e la Smutniak non hanno ben capito cosa stavano recitando nel mezzo, tant’è che li vediamo dannarsi e soffrire durante Made in Italy, alle prese con i soliti siparietti del dramma italiano, quello meno lodevole di esistere.
Certo piange un po’ il cuore vedere il buon Ligabue ingarbugliato in questa operazione, ma purtroppo il suo ultimo film non è per niente riuscito, sia nei benevoli intenti (la voglia di voler rilanciare la bellezza dell’Italia, paese scostato per lo più dai suoi stessi abitanti) che nella messa in scena (stendiamo un velo pietoso su dialoghi e recitazione); un prodotto che nel suo essere deleterio riesce a prendere tutti i tipici difetti del cinema “made in Italy”.
Mirko Lomuscio
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