MaXXXine: recensione

Dopo aver deliziato i fan del genere horror con il film X: a sexy horror story ed aver proseguito un certo discorso sull’utilizzo dei generi con il prequel del suddetto titolo, Pearl, il regista Ti West, un nome che si è fatto strada nel campo del cinema indipendente per lungo tempo dirigendo titoli come The roost – La tana, Cabin fever 2 – Il contagio e House of the devil, decide di chiudere il cerchio di questa trilogia incentrata sul mondo del cinema e assieme alla sua musa protagonista, l’intensa Mia Goth, giunge al terzo tassello proseguendo il tragitto verso i colorati e folli anni ’80, decennio pregno di glamour e senso dell’entertainment.

Seguendo quindi le gesta dell’unica sopravvissuta alla strage avvenuta in X: a sexy horror story, questo MaXXXine vede la suddetta Goth alle prese con un universo eighties dove se non fai successo non sei nessuno; Maxine infatti , attrice che si è data fin troppo alla pornografia, decide di fare un salto di qualità e divenire interprete per un acclamato film horror, diretto dall’astro in ascesa Elizabeth Bender (Elizabeth Debicki).

Pronta a tutto, la ragazza attraversa quindi questa forte ambizione in un contesto fuori dal comune, in una città dove si aggira di notte uno squartatore, il beaststalker, che uccide giovani ragazze, soprattutto se conoscenti di Maxine.

Quest’ultima sente di essere quindi in pericolo, percorrendo una strada pervasa di personaggi ambigui, come il misterioso John Labat (Kevin Bacon), ma anche di fedeli collaboratori, come il suo agente Teddy Night (Giancarlo Esposito), verso una verità sconcertante e fondamentale per il suo personale percorso verso il successo.

Sta di fatto che dopo averci presentato un dittico niente male come quello composto dal geniale X: a sexy horror story e dall’affascinante Pearl, dal regista West ci saremmo forse aspettati una conclusione degna di tanto estro creativo, riuscendo anche a dare alla straordinaria Goth un giusto riscatto a quanto dimostrato in quei due film ma mai abbastanza lodato.

Ed invece MaXXXine , se proprio dobbiamo trovargli un difetto, ha l’imprevedibile idea di mettere un po’ più sottotono la sua protagonista, lasciata comunque in balia ad una regia che, ad ogni modo, eccelle nella ricostruzione di un’epoca anni ’80 mai così palpabile e precisa, con quelle bellissime luci a neon (fotografia a cura di Elliot Rockett) e quelle atmosfere da giallo dell’epoca, tanto da citare visivamente sia film come Lo squartatore di New York di Lucio Fulci che Omicidio a luci rosse di Brian De Palma.

Trasuda marcio e squallore MaXXXine nella sua messa in scena, riportando fedelmente il senso da cinema di serie B che si respirava tra le vhs del decennio anni ’80 e mettendolo a confronto con l’idea di entertainment che gli studios avevano nella realizzazione dei loro film, il tutto fornito da una visione che, comunque, trasuda rispetto per il genere horror e senso del raccapriccio a piccole dosi (da citare in tal caso il trattamento che Maxine perpetra ad un malintenzionato delinquente).

Quello che lascia un po’ perplessi è l’andamento narrativo che è un po’ confuso e West, tra una cosa e l’altra, mette nel calderone quanto di più possibile per la ricostruzione di un mondo fuori dal comune, tra indagini poliziesche svolte dai due agenti interpretati da Bobby Cannavale e Michelle Monaghan e apparizioni di un Bacon sopra le righe, per poi incidere sul pensiero hollywoodiano tramite il personaggio interpretato dalla Debicki e sul sottobosco che popola la Mecca del cinema, comprendente agenti senza scrupoli come il Teddy di Esposito.

Ma nonostante ciò, per i nostalgici e amanti del genere horror di quarant’anni fa MaXXXine è un appuntamento obbligatorio, poco ma sicuro.

Mirko Lomuscio