Pendiamo Napoleone Bonaparte, una delle figure più grandi della Storia; prendiamo Ridley Scott uno dei registi più grandi della storia del cinema e perdiamo Joaquin Phoenix, uno degli attori più grandi della sua generazione. Mettiamoli insieme e otterremo il kolossal perfetto.
O forse no.
Napoleon ha una grande pretesa, narrare tutto l’arco di ascesa, caduta e morte di Napoleone Bonaparte e di farlo in 2h e 38 minuti (sembra esista una versione da 4 ore, ma non ci riguarda).
Partiamo dal punto di forza della pellicola: l’estetica, di cui Scott è mastro assoluto. 900 membri della troupe, 11 macchine da presa, un’infinità di comparse, navi, uso preponderante di scene reali e CGI al minimo, la messa in scena di Napoleon è portentosa. La magnifica regia di Scott si destreggia abilmente tra i ricchi palazzi di Francia e le terribili battaglie nel mondo (come quella di Austerlitz, dove il ghiaccio determina le sorti dello scontro), coadiuvato dalla splendida fotografia di Dariusz Wolski (alla nona collaborazione con Scott) e dalle magnifiche scenografie di Arthur Max e dai costumi di Janet Yates (entrambi alla quattordicesima collaborazione con il regista).
Ma poi c’è l’approccio scelto per la narrazione. Il punto dolente. La sceneggiatura di Scarpa (tutti i soldi del mondo, il Gladiatore 2) è superficiale e mai approfondita. Saltiamo da un evento all’altro che ci vengono mostrati senza mai approfondire gli stati d’animo di Napoleone. I personaggi si trovano in quelle scene perché al film serve che sia così ma perché e come ci arrivano non viene mostrato. Si chiede a Napoleone di diventare console, scena dopo è diventato console, gli viene chiesto di essere re, scena dopo, l’incoronazione. Viene esiliato all’Elba, vuole fuggire, cambio scena, fugge.
Non abbiamo mai modo di capire cosa c’è nella testa di Napoleone, i suoi pensieri, i suoi stati d’animo, le sue emozioni, non riusciamo mai ad entrare in empatia perché non ce ne viene dato modo e non avere empatia per il protagonista di una pellicola che dura 2h e 38 è un problema, perché non ti appassiona. Napoleone era rinomato per il grande rispetto che suscitava nelle sue truppe e per la grande capacità di esaltarle. Nulla di tutto questo si evince dal film e i pochi discorsi che fa non convincerebbero nessuno a combattere per lui. Napoleone è stato fautore di tantissime importanti riforme di cui non vi è traccia. Definito stratega eccezionale, non assistiamo mai alla pianificazione di una grande strategia per una battaglia (però la battaglia la vediamo).
Questo approccio colpisce anche la sfera personale. La madre che dovrebbe essere un pilastro dell’uomo Napoleone, è una mera comparsa e Giuseppina (Vanessa Kirby) , il grande amore di Napoleone con cui condivide quasi tutto il film, non sfugge a questa regola. La grande storia d’amore e’ ridotta ad una serie di scene con salti temporali, l’incontro, l’andata a letto, lo stare insieme, il matrimonio, i goffi tentativi di napoleone di avere un figlio.
Giuseppina fa ammettere a Napoleone di non essere nulla senza di lei, parla delle tante cose fatte per lui ma noi non vediamo nulla di tutto questo. Napoleone abbandona la guerra quando scopre il tradimento di sua moglie per tornare da lei. L’ultima parola detta in punto di morte è “Giuseppina”. Eppure allo spettatore non arriva la forza di questo amore, non si riesce a crederci (e a nulla valgono le vere epistole utilizzate per la narrazione del film). E lo stesso personaggio interpretato da Joaquin Phoenix soffre di una costante demitizzazione nella sfera interpersonale che lo mette inutilmente in ridicolo.
Napoleon soffre di una narrazione superficiale e poco coesa, incapace di coinvolgere ed incapace di una chiara identità, galleggiando in un limbo grigio tra approccio epico e approccio personale e non riuscendo ad eccellere in nessuno dei due.
Massimo Triggiani