“Se qualcuno si fosse riconosciuto in uno dei personaggi presenti nei racconti, sappia che ogni riferimento è puramente casuale”.
Si conclude così, con citazione del titolo, il libro di Antonio Manzini.
Per i lettori, pagine specchio di quella che è l’industria culturale, che gira attorno a tutti i suoi attori: librai, editori, scrittori, ufficio stampa.
Per quelli che, in qualche modo, ci vorticano in questa industria, sette racconti che si aprono come voragini in cui caderci dentro con tutte e due le scarpe. Faticoso risalire e prendere le distanze.
Impossibile negare le evidenze narrate con cinismo, direi quasi assassino.
Ogni pagina è uno schiaffo. La gloria che poi diventa il nulla, i grandi sogni che si scontrano con la realtà, secca e malata, orientata a un unico scopo.
“Eppure quando aveva cominciato a lavorare nell’editoria le intenzioni erano altre. I libri servono. I libri sono i mattoni di una società, si diceva, i libri sono la barriera al pensiero unico, ai terrorismi teocratici, ai pensieri acritici, i libri sono l’ancora di salvezza e il livello di civiltà di una società. I libri siamo noi, ci rappresentano, pensiamo e viviamo perché ci sono dei libri da leggere. Tutti i figli di puttana del mondo si sono scagliati contro i libri, contro la libertà di esprimersi, di dire quello che si ha nel cuore, anche se inviso ai potenti, anche se contrario alle dittature. […] E adesso rendicontazione grande distribuzione grafica accattivante quarta di copertina sconto editoriale in una parola marketing”.
Un mondo dicotomico fatto di illusione e disillusione, moltitudine e solitudine, di lotta e rassegnazione.
Episodi tragici, comici, al limite del grottesco.
Scrittura arguta, sagace, senza sconti ma con una perla di speranza e merito verso il finale.
Un mondo che terrorizza ma allo stesso tempo attira, tiene legati, affascina.
E di cui, personalmente, vorrei sempre sentir parlare.
Erika Carta
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