Marco Apolloni è docente di Storia e Filosofia.
Ha pubblicato, fra gli altri, Senza moscioli né pistole (Fanucci, 2018), Il circolo dei nichilisti (Giraldi Editore, 2010) e Se l’amore va in vacanza (Rizzoli, 2010).
Noi l’abbiamo intervistato per la sua ultima fatica edita da Bibi Book.
Parlaci un po’ di te…
Presentazione formale: padre, marito, figlio, professore, scrittore. Mi reputo un privilegiato. La mattina insegno, il pomeriggio scrivo, la sera sono con la mia famiglia tra giochi, libri e serie tv.
Presentazione informale: avete presente il protagonista de Il grande Lebowski? Be’, io sono Drugo. Mi piace l’autenticità, non sopporto le apparenze. Per me quasi mai l’abito fa il monaco. Sono anti-snob e a favore di una cultura a portata di tutti. In questo tempo “social” non sono molto a mio agio, anche se mi adatto, perché lo spirito di adattamento serve per “tenere botta”, come direbbe Drugo. “So di non sapere” proprio come Socrate; ora che ci penso, forse è stato proprio lui il più grande Drugo della storia.
Cosa ti piace leggere?
Sono onnivoro. Leggo tutto ciò che stuzzica il mio interesse, ma se devo stilare una classifica non ho il minimo dubbio. 1) Dostoevskij, per me I fratelli Karamazov sono il “non plus ultra” della letteratura di tutti i tempi. 2) Camus, sono professore di filosofia e saggista da sempre interessato all’esistenzialismo; da ragazzo ho amato Lo straniero e di recente sono rimasto turbato dalla grande attualità de La peste. 3) Salinger, io sono Holden Caulfield e nei miei personaggi cerco di mettere l’irriverenza del più irriverente dei personaggi della letteratura.
Qual è il tuo hobby?
Giocare a padel. Da ex tennista è stato facile per me innamorarmi di questo sport frenetico e divertente. Si gioca due contro due, come nel doppio del tennis, ma in un campo più piccolo che somiglia molto a una “gabbia”.
Parlaci del tuo libro. A chi lo consiglieresti e perché?
Sulle tracce di Amalia è un libro mystery-investigativo, se proprio gli si vuole dare un’etichetta. La vita dei protagonisti è contrapposta a un’indagine appassionata, perché i due investigatori prenderanno a cuore le sorti della scomparsa Amalia, sparita da piccolissima in spiaggia. C’è una forte amicizia tra i due personaggi, Fortunato e Pacifico, alternata ai loro amori, alle turbolenze familiari, ai siparietti divertenti tra i due protagonisti, ma troviamo anche scene di combattimento e inseguimenti in stile hard-boiled, descrizioni più spinte e altre più sentimentali. C’è l’amore di una madre, che, a distanza di vent’anni, non si è ancora arresa all’idea di non rivedere la propria figlia.
A chi consiglio il mio libro? A tutti, ma in particolare agli amanti dei personaggi un po’ borderline, capaci di nobili gesta ma anche di rovinose cadute, con un certo modo di fare ruvido ma genuino. Lo consiglio meno a chi si scandalizza alla prima parolaccia che incontra: non ne ho messe tante, ma voglio avvisare che qualcuna c’è. In materia di scelte linguistiche, non mi piace girarci tanto intorno. Sono un amante dei dialoghi nudi e crudi, detesto quelli troppo artefatti e letterari. Un personaggio per risultare credibile, secondo me, deve parlare a seconda della propria estrazione socio-culturale e a seconda del contesto. Per questo amo particolarmente i dialetti: rendono i personaggi più verosimili.
Come sono nati i personaggi?
Pacifico e Fortunato sono nati durante una vacanza in Calabria, mentre sorseggiavo un drink a bordo piscina; era una nuvolosa giornata di mezza estate dove non si riusciva a stare in spiaggia per colpa di un vento esagerato. Stavo pensando a una storia alternativa a quella dell’investigatore privato Tarcisio Muzzo, protagonista del mio romanzo hard-boiled Senza moscioli né pistole, uscito con Fanucci nel 2018, dove i “moscioli” del titolo sono le famose cozze di Portonovo (Ancona). Avevo voglia di cimentarmi con una storia diversa, più o meno dello stesso genere, con due protagonisti originali, alternandone i due punti di vista. Volevo creare una storia narrata non più in prima persona, bensì in terza, con due investigatori frizzanti capaci di dare vita a dialoghi vivaci, con botta e risposta a volte esilaranti, altre riflessivi. Fortunato – di nome ma non di fatto, perché da piccolo è rimasto paralizzato agli arti inferiori in un incidente – è la mente, mentre Pacifico che è tutto fuorché tranquillo di carattere – le risse sono il suo pane quotidiano – è il corpo. Si conoscono sin dai tempi del liceo e sono l’uno il naturale completamento dell’altro. Fortunato pensa prima di agire, Pacifico agisce poi pensa. Scoprono di lavorare meglio insieme e per questo decidono di creare nella loro Tolentino, in provincia di Macerata, un’agenzia d’investigazioni private specializzata nel ritrovare persone scomparse. Insieme si metteranno sulle tracce di Amalia, scomparsa vent’anni prima. Ho lavorato molto sulle rispettive backstory dei personaggi. Devo ammettere che mi sono divertito a trascorrere del tempo in loro compagnia. Sono due tipi tosti e a loro modo simpatici, me li figuro come ideali compagni di chiacchierate alcoliche.
Ti è mai venuto il “blocco dello scrittore”?
Se devo essere sincero… no. Non proprio, almeno. Capitano periodi di maggiore o minore ispirazione, ma niente che non si possa risolvere con metodo e disciplina.
Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Leggere, guidare, correre, passeggiare. Tutte le idee che ho riversato nei miei libri sono arrivate mentre facevo una di queste attività.
Qual è il messaggio insito nel libro?
La tenacia paga sempre, non demordere mai.
Quanto c’è di te nei tuoi personaggi?
Tutto e niente. Ogni scrittore mette del suo nei personaggi che partorisce, ma non ci sono episodi autobiografici nel testo.
Progetti futuri?
Nei prossimi mesi uscirà un mio romanzo ambientato nel mondo del tennis, non vedo l’ora. Da ragazzo ho giocato a buoni livelli ed essere riuscito a legare queste mie due passioni, scrittura e tennis, mi ha dato parecchia soddisfazione. Inoltre, ho cominciato a scrivere il secondo episodio della serie di Fortunato e Pacifico. Mi sono divertito troppo a raccontare le loro avventure per rinunciare all’idea di dare loro un seguito.
Silvia Casini
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