Una vita vista mare

L’aveva sempre immaginata così, la sua pace.

Aveva alle spalle un matrimonio arido che era avvizzito lasciando spazio a un rigoglioso divorzio.

Ora accanto a lei c’era un uomo che aveva imparato ad amarla, che era rimasto, toccando in punta di piedi il suo raggio di libertà.

E davanti agli occhi, il mare.

I gradini in pietra, nascosti dalle foglie di lentischio, la dividevano di pochi passi dalla spiaggia.

Una scala di accesso alla felicità.

Avrebbe avuto tanto da ridire sul suo passato, soprattutto su infanzia e adolescenza trascorse in equilibrio sopra fili di angosce e paure insensate.

Eppure, la sua anima si era aggrappata al buono e a quei ricordi felici che un tempo rifuggiva, con la paura, una volta ancora, di non riuscire a sopportare il masso pesante che le serrava la gola.

A un certo punto della vita si era trovata sommersa dal lavoro e circondata di affetti apprensivi mentre l’unica cosa di cui aveva bisogno era tempo.

Tempo per ascoltarsi e capire, per ricordare e respirare il profumo di una vita senza catene.

Aveva cominciato col togliere quelle che legavano il lucchetto impolverato della casa sul mare.

Era appartenuta ai nonni paterni e finché erano stati in vita, aveva accolto figli, nipoti e amicizie in estati tanto colorate e rumorose da sentirne ancora l’eco dentro la pelle.

Inspiegabilmente il tempo si fermava sempre da giugno a settembre. Diventava una situazione irreale dove i malumori, le ripicche e i rancori restavano fuori, chiusi a chiave nelle case di città. Sotto il sole che lambiva terra e mare non c’era spazio per regole o voci grosse, si smettevano i vestiti pesanti e infeltriti per indossarne di leggeri e morbidi, liberi di muoversi insieme al vento.

Si saliva sulle rocce per saltare sulla sabbia.

Quando i nonni erano passati a miglior vita, ci avevano provato, per un po’, a mantenere in piedi la villa e i rapporti umani ma l’aria di città pregna di freddezza era arrivata fin lì, insinuandosi nelle crepe del legno.

Cigolii di rassegnazione diventati insopportabili.

Si erano perduti.

Quando aveva deciso di acquistarla, la casa era ormai inghiottita dalle erbacce dell’abbandono.

Ma si era rimboccata le maniche e ricacciando indietro infinite lacrime di nostalgia, l’aveva rimessa a nuovo.

E lì, dove prima il chiasso delle voci superava quello delle onde, ora il silenzio del mare si era riappropriato di se stesso, e così anche lei.

Era stata una rinascita lenta e dolorosa,  con la risacca dell’esistenza che sbatteva di continuo nelle sue lunghe giornate.

Un uomo era entrato nella sua vita portando nuova gioia ma anche rispetto. Abitavano uno spazio comune senza invadersi, consapevoli di essere liberi.

Aveva scelto di non avere figli. La famiglia numerosa era soltanto un ricordo, ritintosi di allegro.

La sua era fatta di amici che irrompevano in casa ogni estate, con borse piene di teli mare e bottiglie di vino in mano.

Le piaceva apparecchiare la lunga tavola sotto la pergola, con petali di fiori e candele profumate.

Il tempo scorreva ma poteva essere di nuovo festa, se lo voleva.

Aveva ritrovato fiducia in quel mare mutevole che si estendeva tutti i giorni di fronte a lei, come qualcosa che cambia in continuazione, ma resta.

Poteva bagnarsi i piedi nella sua spuma bianca, stendersi al sole o camminare affondando i piedi  sulla sabbia. Poteva stare dentro casa o fuori a consumare una colazione dopo l’altra nella grande terrazza vestita da giardino.

Sferzata dal vento salmastro che calava verso sera poteva stare a guardare i colori del cielo senza mai stancarsi di lasciare andare lo sguardo in direzione dell’orizzonte.

Aveva temuto di perdersi ma era andata avanti, attraversando il tempo in solitudine per trovare nuova vita alla fine del viaggio.

Una vita vista mare.

 

Erika Carta

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