Primo cinecomic con al centro una protagonista femminile, Wonder Woman è un racconto di formazione, molto semplice e tratteggiato con sfumature quasi favolistiche, partendo dalle origini della principessa Diana; principessa curiosa e coraggiosa, gentile e leale; un’eroina che trascende l’umano e abita una dimensione che non esiste in natura.
La storia del film si muove in tre atti diversificati l’uno dall’altro, tanto nei toni quanto nei contenuti: il primo costruito come un colorato e fantastico racconto di origini, un secondo più freddo, comico e dialogato, e un terzo più drammatico ed epico.
Lo script parte da una felicissima intuizione di base: la riflessione sulla guerra e sullo spirito degli uomini che risulta filosoficamente molto accattivante.
Tutta la formazione di Diana sull’isola di Temiscira è di stampo classico concentrandosi sulle Amazzoni e sui miti degli dèi.
La scelta di spostare la storia, nella seconda parte, durante la Prima Guerra Mondiale invece che nella Seconda, come accade nel celebre fumetto, risulta stilisticamente ottima. Questa opzione permette di amplificare i conflitti di genere; e impedisce di attingere ad un panorama ormai fortemente abusato.
Il film appare coerente e lineare, dando modo allo spettatore di ambientarsi, senza che venga riempito di informazioni, nomi altisonanti e nozioni che non possiede ma che “deve sapere”.
Lo accoglie invece con poche informazioni ben spiegate e intervallate con una certa distanza l’una dall’altra, in modo da permettere alla mente di dare spazio ad ogni personaggio o evento storico.
Guardata dalla giusta prospettiva Wonder Woman si impegna a costruire un immaginario mitologico che poco ha a che fare con il cinematografico, non sorprendendo, quindi, per inventiva e spettacolo della messa in scena, ma aprendo sicuramente nuove strade.
Un manifesto femminista a misura di bambina, ma anche un’eroina con il mantello che cammina a grandi falcate nella Parigi degli attentati e del pericolo terrorista: Diana si riconosce nella meravigliosa interpretazione di Gal Gadot, nella sua attitudine all’azione e all’eleganza, nella maniera in cui indossa questa responsabilità politica e culturale, prima che il costume.
Patty Jenkins confeziona, dunque, una pellicola capace di dividersi tra mitologia, azione, risate, dramma, epicità ed interessanti riflessioni per il pubblico sull’etica con cui ci poniamo dinnanzi ai conflitti, donando all’eroina del DC Extended Universe una sua forte identità.
Federica Rizzo
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